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Gli anni di Schillaci al Messina, per Scoglio era meglio di Pelè: «Tu gioca come vuoi e segna»

Negli occhi di tutti è rimasto il Totò che segnava ai Mondiali, quell’omino in maglia azzurra con gli occhi spiritati e le braccia al cielo. Ed è giusto così. Ma per chi lo conosceva Schillaci non è mai cambiato: dall’Amat era passato al Messina di Massimino per una manciata di milioni anche se il suo sogno sarebbe stato quello di giocare a Palermo. Un matrimonio, quello con la maglia rosanero, mai realizzato e non per sua volontà.

La sua storia è legata a Italia ‘90 e al titolo di capocannoniere ma quando giocava in riva allo Stretto faceva ribollire il Celeste. Sette anni, dalla C2 alla B: nella stagione in cui il Palermo era stato radiato (1986-87), i tifosi si sorbivano un viaggio di tre ore pur di vedere una sua partita. E ovviamente lui, il ragazzo palermitano faceva faville: si andava fino a Cefalù, poi tutta statale fino a Rocca di Caprileone e infine gli ultimi 50 chilometri ancora in autostrada prima di raggiungere lo stadio che era sempre pieno come un uovo.

A Messina venne valorizzato da Scoglio e Zeman che lo trattavano come un figlio. In quegli anni sono stati tantissimi gli aneddoti, tra verità e leggenda, che lo hanno trasformato da bomber di provincia in un vero e proprio mito. Ed è stato lui stesso a raccontarli con l’umiltà e l’ironia che lo hanno sempre contraddistinto. Il suo rapporto con Scoglio assomigliava a quello con un secondo padre. «Tu sei meglio di Pelè. Ti insegno cosa fare, tu gioca come vuoi. E segna», gli diceva il tecnico per caricarlo a molla. «In trasferta non veniva mai nel nostro albergo - ricordava Totò - e lasciava Ciccio Currò, massaggiatore tuttofare, a sorvegliare. Mi dispensava anche dalla riunione prima di entrare in campo: "Tanto sai come devi comportarti"».

I derby più intriganti con il Palermo furono nel campionato 1984-85, in serie C1. «All'andata - raccontò Schillaci tanti anni dopo - vincemmo 2-1, segnai il gol decisivo di testa un minuto dopo che De Biasi uscì in barella colpito da una bottiglia di plastica. Il Palermo chiese la vittoria a tavolino, che non ottenne. Fu una sceneggiata. Alla Favorita i rosa vinsero quello che era uno spareggio per la B con un gol al novantesimo di De Vitis. Entrai solo nei minuti di recupero, mi allenavo poco, ero militare e ancora lontano dal cannoniere mondiale».

Anche Zeman aveva inciso nella sua esplosione ma i siparietti erano completamente diversi rispetto a quelli con il «maestro» Scoglio. «Potevi realizzare un sacco di gol, se non entravi nei suoi schemi ti metteva fuori», aveva spiegato una volta Schillaci. «Si lamentava sempre ma, al di là di qualche discussione, c'è stato sempre un bel dialogo e mai mi ha punito per motivi disciplinari».

All’epoca gli scontri fra Totò e il «muto», come veniva chiamato il boemo, era epici. «Quando si correva ero sempre in coda - confessava Schillaci -. E lui: To…tò, due sillabe pronunciate in un'ora. Gli rispondevo: Mister, qualcuno deve arrivare ultimo, quello sono io», diceva scherzando, ma non troppo. «Però, andando come il vento, vinsi la classifica dei cannonieri con 23 gol e passai alla Juve. La fiaba che diventava realtà». Ma non era finita qui. Tra i calciatori veniva tramandata anche un’altra scenetta con gli stessi protagonisti. Zeman, durante un allenamento, a spiegare gli schemi alla lavagna: «Modica tu vai a chiudere a destra ma rientra in mezzo al campo prima possibile, Diodicibus, tu e Schillaci (Maurizio, il cugino, ndr), mi raccomando sulle fasce e tu, Totò, spostati da un lato all’altro in continuazione». Un momento di silenzio e la replica dell’attaccante era stata esilarante: «E come faccio ad andare a destra e a sinistra? Con il vespino?».

E anche alla Juventus non ha cambiato registro: l’avvocato Agnelli la mattina lo svegliava per sapere se stava bene: «La prima telefonata - confessò - mi sembrò uno scherzo e mancò poco che lo mandassi a quel paese». Totò svelò anche una lite con l’allora compagno bianconero Roberto Baggio, diventato poi uno dei suoi più grandi amici nel mondo del calcio. «Ero appena uscito dalla separazione e vivevo un periodo difficile, venivo contestato ovunque. Leggevo il giornale e Roberto ha cominciato a scherzare, toccandomi il viso e provando a farmi cadere. Io lo rimproverai e gli dissi di smetterla, ma lui continuava. Così mi alzai e gli diedi una testata, innocua non di quelle che fanno male. È stata l’unica macchia della mia carriera, sono sempre stato un professionista molto serio».

Memorabili anche alcune dichiarazioni che, riviste oggi, non fanno altro che aumentare la stima e la simpatia verso il personaggio. Sicuramente una manna per i giornalisti. «Se c’è da attaccare attacco, se c’è da subire subisco», una delle sue massime intercettate nel corso di varie interviste. Oppure un’altra famosa gaffe: «Certo, non ho un fisico da bronzo di Rialto». A cui si aggiungeva la frase rivolta ai suoi estimatori dopo una vittoria: «È un gol che dedico in particolare a tutti». E ancora: «Per vincere bisogna segnare. E per segnare bisogna fare gol». Battute, non so quanto spontanee o inventate, alcune delle quali indimenticabili. Come quella volta a Pisa: «Al termine dell’incontro i tifosi mi hanno spogliato e toccato. Li ho compresi: l’avrei fatto anch’io. Mi sarei toccato da solo». E poi due considerazioni. Una su quale sia il migliore allenatore: «Quello che mi fa giocare». E l’altra sulla tattica: «Il calcio si gioca con le palle a terra».

Nella foto Schillaci in visita alla tomba di Scoglio, a Lipari, lo scorso 17 agosto

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