In principio erano diritti tv e sponsorizzazioni; ora si tratta anche di diplomazia, investimenti immobiliari e sport-washing. Il calcio è sempre più business, con equilibri che in pochi anni stanno cambiando velocemente. E gli arabi giocano un ruolo fondamentale. Le big europee come Real Madrid, Bayern Monaco, Inter, Barcellona e Juventus dovranno farne i conti a breve, altrimenti rischiano di perdere competitività. E un progetto come quello della Superlega, con le sue promesse di grandi introiti, ha così un maggior appeal tra tanti nobili d’Europa, anche per il momento sono più gli interrogativi che le risposte.
Nel 2023 la Saudi League è entrata in competizione aperta con Premier League, Serie A, Liga e Ligue 1 ingaggiando a suon di petrodollari giovani promesse e campioni ancora all’apice della carriera e ha nei piani di portare a dieci il tetto di stranieri per squadra, attraendo così sempre più giocatori. Sullo sfondo i Mondiali 2034 in Arabia Saudita, sequel di Qatar 2022. Non manca chi vede nei mega investimenti arabi un tentativo di ripulire l’immagine del Paese, accusato di limitazione dei diritti umani e civili, ma non da poco i petrodollari arabi foraggiano il calcio europeo.
L’ascesa del Paris Saint Germain ne è un esempio: una squadra di seconda fascia in Europa grazie agli investimenti qatarioti è divenuta una big ricca di fuoriclasse. E sempre arabe, stavolta emiratine, sono le ingenti risorse investite nel Manchester City e in mezza Premier League, anche se intanto lo United apre le porte al miliardario di casa Jim Ratcliffe, che ha acquistato il 25% del club per quasi 1,5 miliardi di euro, battendo la concorrenza dello sceicco qatariota Jassim Al Thani.
La gran massa di denaro, più di quella legata ai diritti tv, sta modificando gli assetti societari e creando un nuovo modello di business. È questo, ad esempio, uno dei segreti del Girona, capolista in Liga. Il club dal 2017 è di proprietà del City Football Group (Cfb), società fondata da Mansur bin Zayd Al Nahyan, che controlla anche i campioni d’Europa e del mondo. Dietro alla favola del Girona c’è un lavoro di programmazione pluriennale e di scouting. Nulla è lasciato al caso dalla holding di Abu Dhabi: il Cfb è proprietario di ben 13 club in giro per il mondo: dal New York City fino al Palermo in Italia.
Sta crescendo anche il gruppo austriaco Red Bull, di cui fanno già parte il Salisburgo e il Lipsia ma anche i NY Red Bulls e il Red Bull Brasil di San Paolo. Il colosso austriaco delle bevande spazia su diversi sport: dalla Formula 1, dove il team madre domina, all’hockey fino alla MotoGp dove dà filo da torcere alla Ducati con la Ktm.
Anche il Milan non è esente da queste logiche. Il gruppo RedBird di Gerry Cardinale è proprietario anche del Tolosa in Francia. L’imprenditore statunitense ha una partecipazione nella società che controlla la maggioranza del Liverpool oltre a quelle più note nei Boston Red Socks nel baseball e nei Pittsburg Penguins nell’hockey su ghiaccio.
Un successo del Girona (nella foto) nella Liga rappresenterebbe non solo la vittoria di una provinciale in un campionato dove 19 delle ultime 20 stagioni sono state vinte sempre da Atletico, Barcellona e Real, con l’eccezione del Valencia nel 2004, ma sarebbe anche la vittoria di un nuovo modello di economia di scala nel calcio. In Italia, anni fa, l’Udinese dei Pozzo ha lanciato lo stesso sistema, seppur con risorse molto più limitate, controllando club sia in Premier League che in Liga e realizzando scambi di giocatori. Il Palermo guarda il Girona e progetta un percorso simile.
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