«La città intera si identificava con lui, dire Tanino significava dire Palermo». Padre Raffaele Mangano con poche parole restituisce alla storia calcistica della città di Palermo chi e cosa abbia rappresentato per tutti i tifosi e amici Tanino Troia, bomber degli anni ’60 e ’70 morto venerdì mattina. L’omelia, pronunciata stamani nella chiesa di Santa Maria Madre in piazza San Marino, scivola tra il silenzio commosso dei tanti accorsi per dare un ultimo saluto a Tanino: tra la gente serpeggiano i ricordi, la promozione in serie A, il gol in tuffo al Cagliari di Gigi Riva e la spettacolare rovesciata al Genoa; peraltro tutte reti rimaste nella storia nel club di viale del Fante. Momenti incastonati nella mente di tutti, che lasciano, però, velocemente il passo al ricordo dell’uomo, da tutti descritto come generoso, buono.
«Se è vero che il calcio è parabola della vita e così ciò che succede in campo accade anche nel nostro quotidiano - ha proseguito Padre Mangano - allora il senso della vita è sudare la maglia. Tendere una mano verso l’alto, senza mai tirarla indietro, portando a termine sempre il proprio dovere. Tanino l’ha fatto, tutto ciò che faceva era per la sua squadra, la sua società, la città intera». Gli sguardi calano afflitti sul feretro, avvolto da sciarpe, bandiere e maglie, come in un ultimo ideale abbraccio dei suoi tifosi, dei suoi amici, dei suoi cari, tra cui anche il presidente della squadra rosanero, Dario Mirri, Toni Sperandeo e Benvenuto Caminiti. Quest’ultimo, ha rivelato un aneddoto che svela ancor di più l’animo nobile e sensibile del bomber rosanero: «Era un uomo buono. Da ragazzo era fortissimo, sembrava potesse arrivare in nazionale prima o poi, ma si arrabbiava tantissimo perché alcuni tifosi gli dicevano che mangiava troppo e un atleta non poteva avere questo stile di vita - ricorda l’ex giornalista del giornale L’Ora -. Per lui il pititto era un nervo scoperto - prosegue ridendo -. Era una persona squisita, gentile, che non ha mai negato una intervista a nessuno, soprattutto ai giornalisti che gli davano contro, come ai tempi del Napoli. Questa è una confidenza che mi fece lui due anni fa. Vinicio, sergente di ferro, lo mise da parte dopo il precampionato, per il suo comportamento sregolato e perché non conforme al suo calcio. "Questo mi ha fatto molto male, mi disse, prima fammi giocare 5-6 partite e poi decidi se sono buono o no". Questo è un suo rimpianto, che dimostra la sua dolcezza: il signore ti dà una struttura potente ma anche una anima candida. Nessuno può avere tutto, se hai la disciplina non hai il talento, se non hai il talento hai la disciplina».
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