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L'addio a Chimenti, quella prima «bicicletta» sulla testa di Catellani: era l'estate del 1977

La prima volta accadde il 28 agosto del 1977, il Palermo era in B e affrontava in Coppa Italia il Napoli. Pomeriggio afoso, Favorita piena e tanta curiosità per i nuovi acquisti del presidente Renzo Barbera. La gara era iniziata da poco quando uno di questi nuovi, l’attaccante Vito Chimenti che l’allenatore Veneranda aveva voluto a tutti i costi perché ci aveva giocato insieme nel Matera, attaccando sulla destra quasi sul fondo si portò la palla dietro, chinò il busto in avanti e con un prodigioso gioco di piedi saltò di netto il difensore azzurro Catellani facendo passare la palla sopra la sua testa. Alla Favorita (e tra gli spettatori c’era anche chi scrive) ci fu un attimo di smarrimento, nessuno aveva capito cosa aveva fatto Vito Chimenti ma dopo quell’attimo di stupore il popolo rosanero capì perfettamente di avere trovato un nuovo idolo. Così nacque il mito della «bicicletta», che Vito Chimenti fece solo a Palermo e mai più azzardò nelle altre squadre in cui giocò (Catanzaro, Pistoiese, Avellino e Taranto). «Forse per un segno di rispetto nei riguardi di questa maglia», ci confidò qualche mese fa. Tanti anni dopo ci ha provato Coronado, ma l’effetto non è stato lo stesso.

Vito Chimenti se n’è andato ieri a sessantanove anni, era nato a Bari il 9 dicembre del 1953. Un malore, probabilmente un infarto, lo ha stroncato prima della partita di Eccellenza del Pomarico, la quadra con cui collaborava per il settore giovanile. Il calcio era tutta la sua vita, lo è sempre stato e il Palermo in questa vita ha avuto un posto speciale, benché «Vituzzo» o «Vitogol», come lo chiamavano i fans, in maglia rosa abbia giocato solo due stagioni di B, 74 presenze e 32 gol tra i cadetti, una media altissima per quei tempi. Dall’agosto del 1977 alla finale di Coppa Italia del 1979, quella persa a Napoli contro la Juventus. Chimenti giocò solo un tempo, nessuno si era accorto che si era infortunato, qualcuno dopo la partita malignò che era voluto uscire per favorire la Juve che lo avrebbe voluto tra i suoi attaccanti. Queste voci lo addolorarono, più volte Chimenti spiegò che non stava bene, che Cabrini l’aveva colpito e nel tempo il suo rapporto con Palermo si rinsaldò. Alla fine di quella stagione non andò alla Juve ma al Catanzaro che offrì una cifra stratosferica a cui Renzo Barbera non seppe rinunciare.

Nell’immaginario collettivo Vito Chimenti resta uno degli ultimi «poeti» del calcio. Rotondetto ma agilissimo e con grande fiuto del gol, con quel fisico adesso stenterebbe a giocare in B, ma la magia del suo piede, quella «bicicletta» che fece il giro del mondo ne hanno fatto un mito vivente. Fino a ieri. Chimenti era il campione che segnava col genio, con l’intuito, senza la forza dei grandi bomber. Il campione che giocava per il pubblico, per divertire e con gli anni entrò nei cuori di tutti i fans rosa, di chi l’aveva visto giocare e di chi ne aveva semplicemente sentito parlare. Clamorosa l’ovazione della curva nord il giorno della partita delle vecchie glorie per la rinascita del Palermo, clamoroso essere tanto amati dopo quaranta anni.

Un rapporto forte che Dario Mirri (che ai tempi di Chimenti aveva una decina d’anni e che viveva dagli spalti con gli occhi sognanti le prodezze di Vito) cercò di rafforzare invitando l’ex bomber non solo per la partita di vecchie glorie, ma anche nella rappresentanza dei tifosi prevista dallo statuto del nuovo Palermo. Chimenti si riavvicinò, viveva a Matera e quando il Palermo giocava in Calabria o in Puglia lo seguiva con la moglie Maria sempre al suo fianco, con cui tra poco avrebbe festeggiato cinquanta anni di matrimonio. Forse avrebbe gradito un incarico al Palermo, osservatore o qualcosa del genere, ma non se ne crucciava: gli bastava il ricordo di essere stato un idolo del popolo rosanero, per essere felice gli bastava ricordare quel giorno in cui lasciò di stucco Catellani e la Favorita fece «ooohhhhh».

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