Che il fiato per far strombazzare le vuvuzelas se lo sono tenuti dentro per anni: imprigionato dentro una gabbia di angherie, delusioni e sberleffi di tutti i colori. Ora che è libero si libra nell'aria come un canto che appare perfino melodico. Non a tutti certo. Quelli che ne sanno di più a dire «ma che hanno da festeggiare». Ma loro niente: se ne fottono e basta. Senza usare la ragione ma il cuore. Strombazzanti con clacson e urla filano come tonnara di passanti, a piedi, in moto, in auto e pure coi monopattini. Razza strana quella dei tifosi: pensano col cuore e agiscono con la pancia.
Nel giorno in cui Palermo decide il suo destino politico, in una città all’affanno, la voglia di festeggiare prevale come una liberazione attesa da troppo tempo. Il tifoso non è apatico: appartiene a quel mondo fantastico dove si mescolano le tappe dell'età: dalla fanciullezza delle figurine ai primi respiri dentro uno stadio, un misticismo incomprensibile per chi non «si degna» di provarlo. E allora che passino, che urlino, che strombazzino pure contro quelli che avevano ridotto i colori rosa-nero a una merce di scambio purulenta. A chi ha bleffato sperando di farla franca per una manciata di denari, a chi ha fatto scivolare nel nulla le imprese di Toni o Amauri. La notte è di loro, sia quel che sia. Urlino pure e quanto possono, e chi non vuol sentire la sgraziata voce, chiuda le finestre e si rassegni. Una promozione non è solo un fatto calcistico, è un piccola ancora nel buio di emozioni di questa città. Che anzi, la tonnara di passanti diventi sempre più corposa e festosa. Dal bambino con la faccia pittata, al ragazzo col cappellone, alla famiglia che «s'è partita dalle quattro», allo scafato che fa finta di non provare emozioni perché vuole fare il duro. Ma poi urla pure lui, più forte di tutti. Dalla ragazza che è andata allo stadio perché è andato il suo ragazzo e che s'è messa la maglia rosanero «che poi mi sta pure bene». E chi ha potuto «s’è preso il taxi perché non so se gli autobus passano». Che passino loro, invece, che urlino, che gioiscano. La B non è solo un passaggio tra l'inferno e la speranza, per il tifoso è un modo per dire «per stasera la città è mia e minni futtu». Con buona pace di chi pensa «ma che hanno da festeggiare». Forse poco, ma quel poco vale tanto. Anzi, assai.
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