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Processo 'Ndrangheta stragista, il pg: ergastolo per il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano

Giuseppe Graviano

«Sono straordinariamente contento e convinto di aver fatto tutto quello che era umanamente possibile per ricostruire una vicenda complessa. Graviano e Filippone sono colpevoli di tutti i reati loro ascritti e la sentenza dell’ergastolo va integralmente confermata». Lo ha detto il sostituto procuratore generale di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo al termine della requisitoria del processo «'Ndrangheta stragista» che vede alla sbarra il boss palermitano di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro.

Nel 2020, Graviano e Filippone sono stati condannati al carcere a vita perché ritenuti i mandanti del duplice omicidio in cui, il 18 gennaio 1994, morirono i carabinieri Antonio Fava e Vincenzo Garofalo. Un agguato che, assieme ad altri due attentati consumati in provincia di Reggio Calabria ai danni dei carabinieri, stando all’impianto accusatorio della Dda, è rientrato nella strategia stragista messa in piedi nella prima metà degli anni novanta da Cosa nostra, 'Ndrangheta contro lo Stato. Nel primo giorno di requisitoria, il pg Lombardo aveva affermato che «Filippone Rocco Santo e Graviano Giuseppe sono colpevoli di tutti i reati a loro ascritti, oltre ogni ragionevole dubbio».

«La stagione delle stragi ha degli obiettivi anche di natura politica», ha sostenuto oggi Lombardo confermando quanto detto più volte nel corso della ricostruzione dell’indagine facendo riferimento ai contatti politici intrattenuti in quegli anni dalle mafie e ribadendo quanto scritto nella sentenza dalla Corte d’Assise. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, infatti, si legge che l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e la tentata strage allo Stadio Olimpico rientravano in una "comune strategia eversivo-terroristica» e sarebbero avvenuti «in un momento in cui le organizzazioni criminali erano alla ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici, disposti a scendere a patti con la mafia, che furono individuati nel neopartito Forza Italia di Silvio Berlusconi».

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