PALERMO. «Io sto parlando del primo omicidio che mi riguarda, poi lì è nata la cosa di mettermi in famiglia, è avvenuta la famosa punciuta». Perché, come ha raccontato il pentito Gioacchino La Barbera al sostituto procuratore Amelia Luise, l’uccisione di Salvatore Cintura, il 23 maggio del 1981, ad Altofonte, fu “la prova del fuoco per entrare in Cosa nostra”, che gli valse anche i complimenti del suo capomandamento, il boss Bernardo Brusca, morto nel 2000. “’Bravo, bravo! Tu hai fatto il tuo dovere – gli avrebbe detto – bravo, bravo!’.
Quelle cose insomma che si possono dire a un picciotto che va a fare una cosa del genere”. Santino Di Matteo, ormai anche lui collaboratore di giustizia, e che avrebbe dovuto accompagnarlo quel giorno nel cantiere sulla Palermo-Sciacca per uccidere il presunto ladro Cintura, ma “aveva un altro impegno” (come ha verbalizzato lui stesso anni fa), sarebbe stato invece rimproverato: “È stato richiamato – dice La Barbera – perché qualsiasi era il motivo, non mi poteva lasciare da solo, perché se c’ha dato un incarico bisogna mantenerlo fino alla fine”.
Il fatto che La Barbera fosse solo, peraltro, avrebbe comportato delle difficoltà: dopo il delitto, infatti, il pentito dice di essere scappato con la sua Seicento (“ero neopatentato”) e di essere corso da Giuseppe Marfia, il presunto boss di Altofonte che gli avrebbe commissionato l’omicidio e per il quale a ottobre inizierà il processo: “’Stamattina ero solo e l’ho lasciato lì a terra – gli avrebbe raccontato – mi sono limitato a mettere solo dei pannelli di circa 2-3 metri a coprire il cadavere’, mi sono assicurato che era morto, ma anche se il cantiere era chiuso poteva passare qualcuno che vedeva il cadavere. Quindi Marfia mi ha detto: ‘Vattene, statti in piazza (per avere un alibi, ndr), rimani qua che ci penso io’. Poi il pomeriggio mi ha detto: ‘Tutto a posto! Abbiamo tolto, ho buttato il gasolio per evitare… ho tolto la macchia di sangue, ho cercato di mettere tutto a posto, non c’è niente, ho controllato la zona e non ci potevano essere cartucce’”. Un lavoro fatto bene evidentemente, visto che ci sono voluti 33 anni per arrivare a processare Marfia e ad indagare La Barbera.
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