Ieri si è ricordato il medico legale Paolo Giaccone, ucciso per non aver voluto tradire i suoi ideali di correttezza professionale in favore dei criminali mafiosi. L’agosto palermitano è una Via Crucis della memoria. E settembre non sarà da meno.
A ben vedere, l’anno intero ci ricorda quante persone sono state uccise andando incontro alla morte senza piegarsi, a volte consapevolmente altre con quell’incoscienza che fa gli uomini nobilmente coraggiosi.
Professori universitari, magistrati, investigatori, imprenditori, preti, giornalisti, politici: una parte della classe dirigente palermitana, allora in netta minoranza, che nell’ultimo quarantennio ha capovolto la città, la Sicilia e il Paese, svolgendo ciascuno la loro professione con «fedeltà alla Repubblica», nonché «disciplina e onore» (art. 54 Cost.).
Tutti semi di dolore e di speranza che hanno germogliato: lo Stato e la mafia hanno smesso di coabitare e la vita dei criminali non si snoda più come un tempo tra agi e riconoscimenti sociali, bensì tra carcere, confische e «sommersioni».
Le attuali classi dirigenti hanno fatto tesoro di quel martirio?
Chi ricopre ruoli di responsabilità ha la possibilità di esprimere la propria competenza, se ne dispone, in piena libertà, grazie proprio ai nostri martiri. Sicuri che ne siamo consapevoli?

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