L'ultima sonora scudisciata era arrivata poco meno di un mese fa. Con l'implacabile stigma certificato dalla Cgia di Mestre in uno dei suoi rigorosi e inappuntabili report settimanali: se siete siciliani (o, peggio ancora, avete malauguratamente scelto la Sicilia per fare impresa) e non avete avuto la sfortuna di vivere e lavorare nel Severozapaden o nello Yuzhen Tsentralen – remote e dimenticabilissime regioni bulgare – allora non vi siete mai imbattuti in una burocrazia più frustrante e inefficiente di quella con cui siete costretti vostro malgrado ad avere a che fare ogni giorno al di qua dello Stretto. Una roba da perderci la pazienza, la salute, la voglia e... 4 miliardi circa di euro all'anno. Non c'è di peggio in giro per l'Europa, insomma. «Un fardello insopportabile che schiaccia soprattutto le microimprese, costrette a destreggiarsi tra moduli da compilare e file interminabili agli sportelli pubblici», ha sentenziato la Cgia. Che altro non è che l'associazione che eroga servizi alle imprese e si fa promotrice di battaglie sindacali a sostegno del lavoro autonomo e degli imprenditori. Insomma, sanno di quel che parlano.
Giuravano di saperlo anche i tanti amministratori che negli anni si sono succeduti alla guida della cosa pubblica nell'Isola e con quella elefantiaca macchina operativa si sono visti costretti a interagire e litigare. Un esercito di eminenze grigie – con qualche deriva fantozziana – a reggere storicamente fila e sorti di mamma Regione, che di questa zavorra è simbolo e frontiera. «Vecchi, stanchi e impreparati», li definiva l'allora presidente dell'Ars Gianfranco Miccichè. «Ci sono 3 o 4 persone che da sole decidono tutto, mentre altri funzionari validissimi sono mortificati perché non fanno parte di lobby», dichiarava una quindicina di anni fa l'allora assessore della giunta Lombardo, Marco Venturi. Fino all'iperbole (o forse no) di Musumeci che – al culmine di un tutt'altro che empatico rapporto con il corpo dirigenti di Palazzo d'Orleans e dintorni - si spingeva a un roboante «più facile sconfiggere la mafia che la mala burocrazia». E però...
E però è sempre successo che, al momento di stilare pagelle interne e distribuire premi di produttività, il corporativismo burocratico e la connivenza politica hanno partorito elegiache valutazioni che nella regione finlandese di Aland (la più virtuosa) e perfino nella provincia autonoma di Trento (la migliore in Italia, ma appena ottantunesima in Europa) nemmeno si sognano. Insomma, voti e benefit al massimo e l’anno prossimo se ne riparla. Così. Da sempre.
Ecco perché le sferzate di Schifani contro certe ataviche zoppìe burocratiche - reiterate ieri davanti ai giornalisti - non giungono nuove nè originali. In attesa delle pagelle (tutti bravi anche quest’anno e poi se ne riparla?), c’è però un giro di boa alle viste, pur con qualche ritardo sulla tabella di marcia: una riforma di sistema che sforbicerebbe di quasi 300 poltrone l’attuale corpo dirigenziale. Si punti sui valori, una buona volta. Per farlo non dovrebbero servire marescialli o generali. L’occasione è quella giusta. Perché finché il politico decide ma il burocrate comanda... ci resta solo il Severozapaden.
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