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Il grande suk elettorale

Il grande suk elettorale è dunque già in piena attività e fermento. Fra urlatori e mercatari, pontieri e tessitori, affaristi e saltimbanchi, la medina politica siciliana (e dintorni) si è rianimata, all'alba di una lunga stagione di voto. Lasciando al malcapitato visitatore/elettore la tangibile sensazione di non riuscire proprio a raccapezzarsi, perso in un intrigo di vicoli senza uscita, incroci affollati e trappole per allocchi.

A voler essere magnanimi si potrebbe issare tutto all'elegia delle strategie di partiti, coalizioni e cavalieri solitari. Non ci caschiamo, non appare roba per fini dicitori. In realtà, siamo ancora alla fase del venghino signori venghino.
È quella fase in cui ognuno mostra la propria merce (non sempre di prima mano), urla e schiamazza, gonfia petto e muscoli, osanna e si autoincensa, teorizza e complotta, ammalia amici presunti, corteggia amici potenziali, attacca avversari, addita voltagabbana. E qualche volta – naturalmente a favore di claque - sbraca anche, che le suscettibilità con vista sulle urne improvvisamente si acuiscono.

Siamo dunque nella fase primordiale in cui il concetto di coalizione è una robetta da catechismo, tutti intenti a lustrare ciascuno il proprio alfiere. E qualche alfiere a cercare qualcuno che lo lustri. L'operazione di sintesi sarà complessa e laboriosa. Con approdo al fotofinish e l'inevitabile rammarico – degli sconfitti – di averla tirata troppo per le lunghe. Intanto impera il do ut des e parte la chiamata alle armi delle fidate ma impigrite truppe. E pazienza se il battito d'ali di una farfalla a Mazara del Vallo provoca un tornado a Catania. O se un sassolino fatto rotolare giù dai colli toscani diventa una valanga sulla spianata di cemento della Conca d'Oro. Non curiamocene, fa parte del gioco. Come sempre, bisognerà passare parecchie volte dal via e scartabellare a lungo fra imprevisti e probabilità, prima di trovare (o improvvisare) una quadra.

Quirinale, Palazzo delle Aquile, Palazzo d'Orleans, Montecitorio. Il rimbalzo delle scadenze elettorali sta cucinando a fuoco lento candidati prematuri e candidature di bandiera, accordi di antica data e patti friggi e mangia. A restar dentro i nostri più prossimi confini – come ampiamente spiegano in queste pagine Giacinto Pipitone e Giancarlo Macaluso – il gioco di sponda fra Regione e Comune capoluogo sta producendo per ora solo urla nella nebbia. Gli elettori potranno aspettare, si sta lavorando alla sperimentazione dei pasti da servire loro, prendere o lasciare. Certo, ci sarebbe poi la storiella dei programmi. Ma quelli poi si copiano in ciclostile, avendo cura di ricordarsi di aggiornare il nome del territorio di riferimento, che tanto locuzioni come priorità allo sviluppo, più lavoro, attenzione ai giovani, turismo sostenibile, cultura da rilanciare, ambiente da tutelare, servizi sociali da potenziare e banalità affini vanno bene sempre e ovunque. In fondo, come sottolineato da qualche pluri rodato gran visir delle manovre politiche e scafato tessitore delle alleanze, i programmi alla fine non servono a nulla. A contare sono i nomi. Anche se a taccuini aperti urge professare sempre il contrario. E se il concetto non arriva, è naturalmente colpa dei taccuini.

Chissà, dal momento in cui avete iniziato a leggere queste righe al punto in cui siete arrivati, saranno nate nuove candidature e ne saranno tramontate altre. È la legge del suk. Dove nulla è mai uguale a quel che era un attimo prima. Se pensate di aver perso voi la bussola fra le sconclusionate bancarelle della politica, consolatevi: è la politica che cambia e ribalta, modifica e rabbercia, approssima e ammuina. E il bello è che il bello (sic!) deve ancora venire.

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