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Palermo, i conti del Comune in disordine e la facile tentazione

Ci sono almeno due aspetti, in questa non originalissima vicenda sui conti (o gli artifici contabili, chissà) del Comune di Palermo che inducono alla facile tentazione di strumentalizzare il tutto a fini politici.

La tempistica della sberla giudiziaria

Il primo è quello della tempistica e ce lo liquidiamo subito senza appassionarci più di tanto. Perché gli amici di Orlando mugugnano per l’affronto di una sberla giudiziaria giusto nel giorno in cui il sindaco si trova a fare da anfitrione a 150 colleghi giunti qui da mezzo mondo. E i nemici di Orlando sberciano perché la cosa è venuta fuori solo dopo la chiusura del primo atto di quella che si annuncia come una lunga stagione elettorale, peraltro con tappa non proprio secondaria anche a Palazzo delle Aquile. La verità, come sempre, è che non c’è mai un momento giusto o uno sbagliato per questo genere di vicende. E la tanto decantata giustizia a orologeria è (quasi sempre) un puro e sterile esercizio speculativo.

La caccia al bersaglio grosso

Ben più sostanziale appare l’altro aspetto, che attiene più al merito della vicenda e all’uso che se ne può fare. Perché - fin troppo chiaro, fin troppo scontato - la caccia alle streghe è già partita. Anzi la caccia allo stregone. Il bersaglio grosso. L’unico.

Ora, che Orlando sia un sindaco in evidente difficoltà, fiaccato e sfiancato, un vecchio leone ferito che prova a ruggire ma intanto sanguina copiosamente, è dato acquisito. La misura di un’amministrazione che si approssima stancamente al suo traguardo è certificata dallo stato comatoso in cui si trova Palermo. Di cui Orlando continua a proiettare una lirica visione futura. Ma intanto gli è sfuggita di mano la prosaica realtà presente. Un giudizio che non per forza deve avere etichettatura politica, essendo ormai tracimato oltre l’alveo della soggettività.

Tutto ciò però nulla può avere a che vedere col teatrino messo in piedi un nanosecondo dopo l’uscita della notizia sull’indagine in cui Orlando è coinvolto, peraltro in buona e affollata compagnia. È stato tutto un rincorrersi di sonore scudisciate e iperbolici atti d’accusa, fino alle inevitabili condanne politiche preventive. Una logica cui - diciamola tutta fino in fondo - non è mai stato del tutto estraneo in passato lo stesso Orlando e dal quale per esempio si è discostato con stile (e magari con un sassolino in meno nella scarpa) il governatore Nello Musumeci.

I conti che non tornano

La vicenda però è molto complessa. E paradigmatica delle difficoltà enormi in cui si trovano da anni a operare gli enti locali. Non certo solo per colpa degli altri. Tramontate le stagioni delle vacche grasse, archiviata l’epoca di Comuni, Province o Regioni - e annesse galassie societarie - unici ammortizzatori sociali sui territori, rintuzzate vecchie politiche di grandeur clientelari, adesso i pozzi si sono essiccati e i conti non tornano più. E subentra l’arte di arrangiarsi. Che sia finanza creativa o trucchetto contabile lo deciderà un tribunale. Che un sindaco scafato e di lungo corso come Orlando possa incespicare su qualche zero di troppo ci pare francamente sorprendente. Ma aspetteremo. Almeno noi. La fretta è solo di chi da anni e anni è seduto in riva al fiume. E ora intravvede finalmente laggiù un’ombra avvicinarsi.

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