Chi tiene davvero alle sorti del calcio a Palermo? Chi ha compreso con precisione cosa sta succedendo dalle parti di viale del Fante? Chi ancora pensa che si tratti in fondo solo di una grande burla da salotto, di un giochetto sul filo degli spiccioli per speculatori, arrampicatori, cacciatori di notorietà, pupazzi, burattinai, eminenze grigie e prestanome senza alcuna conseguenza pratica?
Che tanto poi, al fischio d’inizio di ogni partita, basta sventolare le (poche) bandiere rosanero sugli spalti e intonare qualche coretto per vincere le partite? Che tanto poi alla fine il Palermo andrà in serie A e vivremo tutti felici e contenti? Ebbene, la situazione è diversa. Drammaticamente diversa.
Il Palermo sta seriamente rischiando non solo di accusare un grave colpo nella corsa verso l’agognato ritorno nella massima serie. Ma di non riuscire neanche a riprendersi da quel colpo. La pantomima, che nessuno diverte e tutti scandalizza, sui nuovi assetti societari (quali? chi? come? quando?) sta arrivando irrisolta al primo fondamentale step: urgono tre milioni e mezzo entro sabato, lunedì al massimo, per pagare almeno gli stipendi e indurre i vertici del calcio federale a non sforbiciare drasticamente il bottino punti accumulato dalla squadra in campo. Una penalizzazione che avrebbe il peso di una sentenza sostanziale e morale.
In attesa di capire se verrà mai fuori una parvenza di società, con basi solide, sostanze reali e ruoli concreti, dal papocchio zampariniano (vendere per 10 euro simboliche a chi garantiva solo a parole la copertura del debito…). Il gioco di sponda fra cordate e cordatine, acquirenti potenziali e finanziarie presunte, passerelle e ritirate, inchieste e arresti, denunce e ripicche, parole tante e fatti nessuno, ha abbondantemente stancato.
Ecco perché forse è il caso che del Palermo tirato per la logorata giacca da fantomatici britannici o americani oggi, improbabili slavi o arabi ieri, si cominci ad occupare seriamente… Palermo. E i palermitani. Non è più tempo di stare alla finestra, di additare e mugugnare. Serve il contributo reale e concreto di chi certi equilibri li può spostare.
Nella quinta città d’Italia, nel capoluogo della più grande delle regioni dello Stivale, nella capitale della cultura 2018, nella metropoli che oggi esprime il presidente della Repubblica e fino a pochi mesi fa anche la seconda carica dello Stato, la Palermo degli imprenditori (onesti) e dei Cavalieri del lavoro, dei circoli e dei tanti professionisti, fino ai manager d’azienda esportati in giro per il mondo e ancora visceralmente legati alla propria terra natìa, non c’è davvero nessuno che possa presentarsi al capezzale del grande infermo, magari con l’aspirina dell’emergenza, in attesa della grande cura risolutiva? L’ipotesi di una public company di mutuo soccorso, magari con l’aiuto delle banche, è proprio da scartare? E la politica? Perché tace? Perché assiste inerme e passiva a uno spettacolo kafkiano di degradante valore, che sta mandando in malora un patrimonio così importante per la città stessa e l’intera Sicilia?
La Sport Capital Group che ha chiuso l’era Zamparini lo scorso novembre ha collocato le azioni in Borsa col Palermo come unico asset, ma non ne ha venduto neanche una. Ma che roba è? Sui social è tutto un battibeccare fra chi se la prende con i soliti giornalisti tragediatori e nemici della contentezza che disegnano scenari apocalittici e «non lasciano in pace la squadra» (ma che vuol dire?) e chi invece ha compreso perfettamente che il baratro è prossimo ad aprirsi sotto le scarpe bullonate che calcano la gramigna del «Barbera».
Eppure c’è un senso generale di stasi quasi fatalista, di attesa indolente, come se in fondo non sia in ballo la credibilità della città stessa. L’iniziativa di Sicindustria di acquistare un pacchetto di biglietti per manifestare un senso di vicinanza alla squadra nel momento del bisogno ha l’effetto di un brodino tiepido rifilato a un moribondo: allevia, conforta, ma non cura. Se è vero che i debiti sfiorano i 30 milioni, se è vero che il patrimonio stimato del parco calciatori sfiora i 40 milioni, se è vero che chi vuole il Palermo non può certo pensare di lucrarci sopra, è altrettanto vero che il coma farmacologico non è ancora irreversibile.
Col Palermo promosso in A, nelle casse rosanero entrerebbero 52 milioni di diritti tv. Una manna. Ma i prossimi quattro o cinque giorni saranno decisivi. Non possiamo illuderci su una possibile clemenza della corte (federale), perché il calcio professionistico è purtroppo pieno di casi simili a quello del Palermo – fra insolvenze e inadempienze – che sono stati giustamente e pesantemente sanzionati. Serve – e subito – denaro sonante, per tenere in piedi almeno ciò che resta del castello rosanero. Poi toccherà riedificarlo. Sperando di non dover ripartire dalle fondamenta. Lontani, lontanissimi dai riflettori. E dal posto che il Palermo merita almeno per la sua ultrasecolare storia. Il calcio sarà anche un gioco, ma solo finché c’è. Senza, siamo al dramma, alla sconfitta, al fallimento. Al disastro. Comprendiamolo adesso. Che fra non molto potrebbe essere troppo tardi.
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