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Gettati via come cose, se l'Italia non è un Paese per bimbi

Non è in discussione l’affetto sincero di papà e mamme, ma a volte sembra che i piccoli siano «pacchi» da posteggiare

Un bambino di 8 anni ucciso, una neonata gettata nel cassonetto dei rifiuti. Storie diverse, accomunate dall'essere accadute in Sicilia - a Santa Croce Camerina la prima, a Palermo la seconda - , ma, soprattutto, dal fatto che, in entrambi i casi, le vittime sono bambini. E si deve a questo, probabilmente se, in entrambi i casi, come del resto già in altre occasioni (si ricordi la tragica vicenda di Yara o, più indietro nel tempo, l’omicidio di Cogne), l'opinione pubblica ha reagito a questi drammi con grande commozione, seguendone con passione gli sviluppi.

Per certi versi, si può vedere in questo un segno che l'overdose di notizie che ormai ci assedia e ci frastorna non ha del tutto finito di ottundere la nostra sensibilità. Lo schermo televisivo ci ha reso sempre di più meri spettatori. È tra i significati del termine «schermo», infatti, quello di «barriera», «difesa», «riparo», come nell'espressione, ad esempio, «farsi schermo con le mani» quando c’è troppa luce. I mezzi di comunicazione ci hanno fatto uscire dalla tranquilla nicchia in cui un tempo si svolgeva la vita degli esseri umani, raggiunti a stento e con molto ritardo da un numero limitato di notizie. Ormai siamo messi al corrente in tempo reale di quanto accade in luoghi lontanissimi, e la gamma delle informazioni si è dilatata e variegata, rendendo praticamente impossibile abbracciarla.

Ma c'è di più: costretti a vivere in diretta tutto il negativo che prolifera nel nostro pianeta, impazziremmo se non fossimo in grado di frapporre fra noi e la realtà, appunto, uno schermo. Col rischio, però, di essere anestetizzati e di assistere a tutto come a uno spettacolo.

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