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In udienza "Rambo", il carceriere dei migranti. Testimoni: così li torturava

PALERMO. Al terzo tentativo, gli agenti della polizia penitenziaria sono riusciti a portare in udienza John Ogais detto Rambo, il nigeriano accusato di aver torturato e, in un caso, anche ucciso alcuni migranti segregati in Libia nel famigerato “ghetto di Alì”. Questa mattina si è svolto, infatti, l’incidente probatorio in cui otto vittime – provenienti da diversi centri d’accoglienza in Sicilia – sono state chiamate a riconoscere il loro carceriere.

Terribile la descrizione del ghetto di “Alì il libico” che diventava l’inferno per i migranti che aspettavano di imbarcarsi per l’Italia. Il ghetto, come hanno raccontato alcuni testimoni, è una struttura all’aperto, nel deserto, con quattro case – tre per gli uomini e una per le donne – circondate da muri molto alti che fungevano da recinzione.

Ogni casa era vigilata da un guardiano, che veniva chiamato “boss”. Rambo, è accusato di far parte di un’organizzazione criminale che gestisce la tratta dei migranti tra la Libia e la Sicilia, di sequestro di persona, violenza sessuale, omicidio aggravato e favoreggiamento di immigrazione clandestina.

Le vittime raccontano che torturava i migranti nel ghetto di “Alì il libico”, li minacciava anche con armi da fuoco, e li privava di ogni loro avere, al fine di ottenere, da parte dei loro familiari, il versamento della somma necessaria quale prezzo della liberazione. Tubi di gomma e cavi elettrici erano gli strumenti che il giovane nigeriano e il suo complice ghanese Sam Eric Ackom – chiamato Fanti – utilizzavano per maltrattare e picchiare i migranti arrivando anche alle violenze sessuali sulle donne.

In alcuni casi, le torture erano fatte mentre erano al telefono con i familiari dei migranti in modo da convincerli a pagare il riscatto. Rambo e Fanti sono arrivati a Lampedusa nel marzo scorso. Si erano confusi con gli altri migranti. Ma poi sono stati riconosciuti dalle presente  vittime.

“Più volte – ha raccontato un’altra vittima – sdraiato a terra a pancia in giù con le gambe alzate, mi colpiva le piante dei piedi con un cavo elettrico e un tubo di plastica dura, per circa trenta minuti. Preciso che diverse volte anche Alì, il capo della strutturami ha torturato mediante delle scariche elettriche sul petto dopo aver bagnato per terra”.

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