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«Quella cerniera tra città e mare che commosse anche goethe

Dopo l’Unità d’Italia, il Belpaese iniziò a fare il conto dei suoi spazi pubblici. Villa Giulia aperta al popolo lo era già da mezzo secolo, ma dal 1866 divenne un parco pubblico a tutti gli effetti. Palermo l’ha dimenticata, con le sue piante concentriche, le statue storiche, i giardini, le specie botaniche. Eppure i cittadini l’hanno sempre amata, era il simbolo di una Palermo operosa che non aveva soldi né titoli, eppure amava una semplice passeggiata domenicale.

«Fa parte intimamente di una città viva che si andava trasformando sotto gli occhi della gente – interviene Maurizio Carta, urbanista e presidente vicario della Scuola Politecnica, delegato dal rettore allo sviluppo territoriale -; è stata la prima villa pubblica di Palermo, cresciuta negli stessi anni del giardino di piazza Marina. Fino all’Unità d’Italia, gli spazi e i luoghi verdi erano competenza di palazzi ecclesiastici o residenze aristocratiche: dopo il 1861, nasce il culto laico e borghese che a Palermo si concretizza anche nei parchi. Insomma, la Palermo borghese si affaccia sulla Palermo aristocratica e chiede i suoi spazi. E ambisce a diventare europea».

Oggi si fa un gran parlare di ecosostenibilità ambientale e vivibilità delle aree comuni.

«Non abbiamo inventato nulla: la testimonianza dell’importanza dei luoghi dediti al verde e al tempo libero, è nella storia d’Italia. Ciò che noi oggi riscopriamo, è solo un elemento fondamentale e ben presente da secoli. Spesso rischiamo di schiacciare la memoria storica e crediamo di inventarci qualcosa di nuovo. E sbagliamo di grosso».

Ritorniamo a Villa Giulia. C’è chi pensa che nel disegno di Nicolò Palma - un giardino all’italiana particolare: un quadrato, e un rombo al suo interno, poi due cerchi concentrici - si debba leggere altro.

«Tutto l’apparato simbolico presente a Villa Giulia segue uno schema preciso, e le interpretazioni sono differenti e numerose. Molti studiosi hanno interpretato lo schema come un grande Mandala; certo è che il simbolismo usato per tracciare gli assi viari di molte città, qui ritorni in maniera perfetta, dando vita ad un tracciato molto interessante. Non dimentichiamo il lavoro di Damiani Almeyda, le quattro esedre e i teatrini della musica: quella Palermo borghese e popolana di cui si parlava prima, ambiva a spettacoli di livello, finora regno delle classi più elevate. Insomma a Palermo, pur non essendo un nobile, aristocratico o un ricco borghese, si poteva lo stesso beneficiare della musica».

Statue di personaggi famosi: Donizetti, Leopardi, De Spuches. Gli stessi busti che sono in uno stato pietoso e hanno determinato il sequestro di Villa Giulia.

«Un grande apparato mnemonico, lo stesso lavoro che oggi si farebbe con altri mezzi di comunicazione. Una sorta di pantheon verde progettato a tavolino. Commosse persino Goethe. A differenza del Giardino Inglese che ha sempre avuto un impianto britannico, con grandi viali, Villa Giulia facilitava la contemplazione. Ma il parco statuario è quasi in decomposizione, non si possono superare certi limiti di degrado. Anzi, ben venga un intervento di sequestro, se accelera i lavori di recupero».

Palermo ama Villa Giulia?

«Difficile rispondere ora. Posso dire che i miei studenti la adorano: Villa Giulia è stata spesso oggetto di studio, presente in tutti i miei corsi di urbanistica. Spesso abbiamo elaborato progetti sullo spazio, per connetterla meglio al mare, per esempio, per recuperare l’ingresso monumentale; guardandola come il nodo, la cerniera della grande rete di quella strada che parte dal mare e arriva al fiume Oreto, all’interno di quel progetto del Comune che investe risorse (poche) sul recupero della costa sud. C’era un progetto di recupero del Comune per Villa Giulia, ma si arenò per mancanza di fondi».

Invece è stato siglato un protocollo di intesa con l’Università, poco prima dei sigilli per il degrado.

«Università e Comune siglarono un protocollo poco meno di un anno fa per aprire il cancello di collegamento tra Villa Giulia e l’Orto Botanico: era un progetto di Giuseppe Barbera poi rilanciato dal direttore dell’Orto Botanico Raimondo. Così sono diventati un corpus unico due spazi straordinari, entrambi meravigliosi. Credo sia giusto eliminare le separazioni, tutte le volte che è possibile».

I suoi ricordi da bambino su Villa Giulia?

«Chi è stato piccolo negli anni ’70, ricorda il regalo della domenica, la passeggiata a Villa Giulia per vedere il leone Ciccio, l’unica occasione di esotismo per molti palermitani. Andavi allo zoo di Villa Giulia, ma guai a ricordare che animali ce n’erano pochissimi e solo Ciccio stava sempre lì. Era come il leone del film “Madagascar”, un simbolo decontestualizzato. Ma è anche vero che chi non aveva elementi per apprezzare la magnificenza di piante e statue, veniva comunque attratto da un’attrazione circense; stavi a contatto con un luogo bello, magari non ne comprendevi il valore, ma era bello. Nella Palermo anni ’70 dell’austerity e delle domeniche senz’auto, il leone Ciccio suonava strano, ma attirava e ti faceva pensare di essere al centro del mondo. Sono sicuro che se avessimo chiesto a molti di Villa Giulia, prima veniva il leone e poi le statue. Villa Giulia è stata dimenticata, ha bisogno di essere di nuovo oggetto delle nostre attenzioni, di quelle corali, non solo istituzionali. E ha bisogno di essere sorvegliata dopo il recupero. Qualsiasi luogo restaurato ma non controllato, rischia di tornare nel degrado. Poi c’è il tema dei servizi e della gestione di posti del genere, penso ai privati, ad un’area di ristoro. Ma quella è un’altra vita».

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