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Il pentito racconta ai pm di Palermo: «I soldi non bastano, i picciotti devono andare a lavorare»

Il collaboratore di giustizia Antonino Zarcone: «Meno estorsioni anche per ridurre il numero di “esattori” e così di “stipendi”»

PALERMO. I negozi li dobbiamo lasciare perdere, con questa crisi, sentenzia Lorenzo Flauto in un’intercettazione. Soprattutto i piccoli esercizi. Meglio concentrarsi sulle attività più consistenti: «Se è più grande, meno pesa — aggiunge, facendo una considerazione che è un mix di filosofia e di economia, il presunto mafioso di San Lorenzo — con questa crisi che c’è...».
Arresti su arresti, avvocati da pagare, picciotti da mantenere: l’onda lunga della recessione colpisce anche chi non ha mai lavorato nella propria vita, come molti degli appartenenti a Cosa nostra, impegnati in attività parassitarie, come estorcere denaro a chi lo produce. Ma anche in questo tutto cambia. E i nuovi codici di comportamento li conferma adesso il pentito Antonino Zarcone, uno che nell’organizzazione criminale è formalmente entrato nel 2011, nella sua Bagheria, ma che ha vissuto per almeno una ventina d’anni l’evoluzione e l’involuzione delle cosche, determinata in gran parte anche dal fattore-crisi.
Ecco infatti che le estorsioni, spiega Zarcone ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, si riducono anche per un motivo pratico, quasi sconcertante: perché altrimenti, argomenta il collaboratore di giustizia, si devono pagare gli stipendi agli esattori del pizzo. Meno personale, meno stipendi. Altra regola tranchant: il diritto al mantenimento spetta solo a chi sta in carcere (e alle famiglie dei detenuti) e soltanto fino a quando non si esce. Poi tocca una sorta di bonus per chi torna in libertà, per qualche mese. Mentre chi sta fuori deve andare a lavorare.

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