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Il nuovo libro di D’Avenia: storia di un ragazzo e di un prete

Il libro è formato da due parti: «Tuttoporto» e «Spasimo»: «Perché Palermo vive la solita polarità, da una parte il porto, dall’altra lo Spasimo: il primo è accoglienza, ospitalità, il secondo è fuga»

PALERMO. Palermo è una scacchiera, in cui i quadratini neri non incontrano quelli bianchi. Si sfiorano, questo sì: ma ognuno non esce mai dal proprio perimetro. Quasi mai. Perché Federico, 17 anni, provenienza borghese (quadratino bianco), studente del Liceo classico Vittorio Emanuele II, decide di rinunciare a una vacanza-studio a Oxford per andare con il suo prof di religione, in estate, a Brancaccio. Il prof è padre Pino Puglisi, uno che disorienta mischiando quadratini e che spiazzerà con un sorriso perfino il suo killer. Già, perché uno che invade quadratini altrui va ammazzato. «Togli amore e avrai l'inferno. Metti amore e avrai ciò che inferno non è», diceva don Pino. E Ciò che inferno non è è diventato il titolo del libro di Alessandro D'Avenia, scrittore-insegnante in un liceo milanese, palermitano dal travolgente esordio con Bianca come il latte, rossa come il sangue, oltre un milione di copie vendute, e dall'irresistibile continuazione con Cose che nessuno sa, che dalle classifiche non si schioda: oggi alle 18.30 D'Avenia presenterà il romanzo, assieme a Pietro Grasso, al Cinema De Seta.

Federico è il suo protagonista ed è un po’ lui stesso: piazzarsi sulla casella nera per Federico significa oltrepassare quel passaggio a livello che come una cesura simbolica, oltre che fisica, separa Brancaccio da Palermo. Lì, sul quadratino nero, gli piace stare: ci sono gli uomini dalla faccia dura come quella di un totem di pietra, il Cacciatore, ’u Turcu, Nuccio, ma ci sono anche Francesco, Maria, Dario, Lucia, Serena, Totò, che cercano una vita diversa e un altro colore di quadratino. Senza mischiare, nessuno può conoscere l'altro, e questo a 3P non piace affatto, perché chi vive all'inferno deve interagire con «ciò che inferno non è».

Federico si butta nella mischia, senza eroismo, grazie a don Pino, che insegna al liceo al di qua del passaggio a livello, e al Centro Padre Nostro, al di là dello sbarramento: sorride a tutti e non abbassa mai lo sguardo, neppure davanti ai totem, verso i quali «la sottomissione oculare è regola di vita». Alessandro (e Federico) nei corridoi del liceo imparano a conoscere 3P: «Lui era il professore di religione dei miei fratelli - spiega Alessandro, 37 anni, famiglia borghese, casa in via Notarbartolo - io l'ho avuto come supplente, lo incontravo nei corridoi. Diceva: “Io non sono un prete antimafia, sono un cattolico, al servizio di tutti”. E continuava il suo mestiere nel silenzio: non ti diceva mai cosa fare ma ti metteva nella condizione di scegliere. Provocava la tua libertà. Noi non capivamo cosa si portava dentro: lo vedevamo segnato dalla stanchezza, di sicuro sapeva di essere dentro un conto alla rovescia».

Brancaccio non poteva tollerare il «parrino», aveva già il padrino: «Due tipi di paternità: il primo ama, il secondo controlla. Don Pino ha sottratto bambini alla mafia, un'azione imperdonabile. 3P era un “don” senza potere, non senza forza. Questo libro nasce nella mia mente da quel suo sorriso prima di morire: volevo indagare su quanto c'era di agiografico e quanto di reale in quell'espressione, che fece dichiarare a un sicario come Salvatore Grigoli “per quel sorriso non ci ho dormito la notte”. Ho capito che quel sorriso finale ha avuto una preparazione lunga e remota».

Il libro è formato da due parti, entrambe riferite a Palermo che è ben più di un fondale: Tuttoporto e Spasimo: «Perché Palermo vive la solita polarità, da una parte il porto, dall'altra lo Spasimo: il primo è accoglienza, ospitalità, il secondo è fuga. Un concetto confermato dall'iscrizione sulla statua del Genio: “Divora i suoi figli e nutre gli stranieri”». D'Avenia, nei suoi libri, a scuola e sul suo blog, maneggia l'adolescenza, quell'età in cui ogni vita non va riempita ma accesa. Lo fa in maniera differente da Federico Moccia: «I libri di Moccia si esauriscono nel tempo, i miei sono dei long-seller: credo di intercettare il bisogno dei ragazzi di una prospettiva, di una speranza di vita. Mi infastidisce quando si accusano i giovani di consumismo: prima di tutto dovremmo interrogarci sui modelli proposti. A partire da quelli genitoriali».

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