Violenza sessuale, in Sicilia quasi 7 donne su 10 non denunciano: «Casi anche tra i mafiosi»
Oltre 125 scuole collegate da tutta Italia hanno seguito questa mattina l’incontro promosso dal centro studi Pio La Torre di Palermo sulla violenza di genere nella società civile e nelle organizzazioni mafiose. Con l’aiuto della sociologa dell’università Alessandra Dino e dell’avvocato penalista Monica Genovese, gli studenti hanno potuto approfondire il tema anche grazie ad alcuni dati: «La Sicilia è la regione dove si registrano più violazioni dei divieti di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima di violenza - ha sottolineato la professoressa Dino - e la seconda in termini di revenge porn, ovvero la diffusione illecita di video e immagini sessualmente espliciti». Sono elementi che provengono dall’ultimo report del ministero dell’interno, che mettono in luce uno scenario allarmante: «I dati sottolineano il notevole aumento dei reati di violenza sessuale - prosegue Dino - che, soprattutto quando praticata all’interno del matrimonio, è difficile da denunciare». Denunce che, infatti, risultano in numero esiguo: «Circa il 67% delle donne non denuncia - prosegue la professoressa». Ma l’analisi si estende anche all’interno del circuito mafioso: «Bisogna necessariamente abbattere il velo di ipocrisia che avvolge le organizzazioni mafiose - ha detto l’avvocato Monica Genovese - si dice da sempre che ‘’donne e bambini non si toccano’’, niente di più falso. La donna all’interno dei consorzi mafiosi è totalmente subordinata al suo uomo e vittima». Ma il suo ruolo non deve neanche confondere troppo le acque: «Sempre più spesso - affermano Dino e Genovese - ci troviamo difronte a donne che all’interno della famiglia giocano ruoli cruciali: si fanno portatrici di notizie e, talvolta, toccano vette di potere». Vengono citati i casi di «Giusi Vitale, che in Sicilia si è macchiata di omicidi, che peraltro, mentre i fratelli erano in carcere, è stata reggente del mandamento di Partinico», spiega Alessandra Dino. Ruoli che sono stati spesso sottovalutati dai giudici, «perché ancora legati ad un immaginario vecchio della mafia, che invece si evolve di pari passo alla società civile, utilizzando le proprie donne per ruoli di maggiore importanza rispetto al passato».