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Dal dolore alla forza, la palermitana Claudia: "La malattia mi ha insegnato ad amare la vita"

Claudia, 32 anni, è una donna che non si è mai fermata. Abita a Palermo da sempre, si è laureata, e per tanti anni ha lavorato come project manager per Immedia, una delle più importanti digital agency della Sicilia.

Lavoravo tutto il giorno, il fine settimana, di notte, poi la malattia mi ha dato una sberla. Me la meritavo”.

È a 17 anni, infatti, che Claudia inizia ad avere i primi sintomi fluttuanti di una patologia neurodegenerativa rara: “Avevo vertigini e stanchezza, avvertivo dei problemi alle gambe, ma questo non mi ha impedito di completare i miei studi e di realizzarmi a livello professionale. Certo, con i dovuti sacrifici. Ho esagerato, però, con il mio corpo. Oggi so che c’è bisogno di rallentare, di ascoltare i segnali che lui stesso ci manda. Nel 2019 infatti le gambe si sono bloccate e sono finita in ospedale”.

Un anno dopo la diagnosi: paraparesi spastica ereditaria.

“Ho atteso 14 anni per questa diagnosi. In tanti non mi hanno creduta, o pensavano che la malattia fosse causata da un problema psicologico. Altre volte hanno sbagliato diagnosi. Qui a Palermo, per esempio, i neurologi non conoscevano la mia patologia, così sono dovuta andare a Messina, nel centro di malattie rare”.

Le difficoltà certo non finiscono qui. C’è l’intricata burocrazia, c’è la mancanza di ascolto, oltre alla sofferenza che una malattia rara come quella di Claudia porta con sé.

Io faccio fisioterapia privatamente - racconta - perché per il servizio fornito dall’Asp c’è una lista di attesa che va dagli 8 mesi ai 2 anni. Inoltre per ora i miei genitori sono i miei caregivers, dipendo da loro, ma l’età avanza e non è giusto che non mi vengano dati gli strumenti per essere indipendente o, quanto meno, per far sì che non tutto ricada sulle loro spalle”.

Nel frattempo Claudia ha dovuto lasciare il suo impiego perché non riesce più a stare al computer, ha le vertigini e le occorrono molto tempo e fatica per lavorare.

Non si è però abbattuta la voglia di creare e di vivere: “La vita è tutto, non è solo dolore”, dice. Così, proprio a gennaio scorso, nasce “Una donna su ruote: racconti neurologici di vita”, una pagina Facebook in cui Claudia parla di vissuti, malattia e disabilità, che ha l’obiettivo di aiutare gli altri, di rendere note le malattie neurologiche rare, ma anche di mettere in comunicazione le persone “sane” con quelle con patologie.

“Nella pagina c’è molto di me e delle mie malattie. Ho deciso però di raccontarle in modo narrativo, poetico, con musica e dipinti, inserendole nella mia quotidianità. Certe volte pubblico dei post in cui aggiungo informazioni di carattere divulgativo, un modo semplice per comunicare a tutti, altre volte dedico i contenuti alla solitudine e all’amore”.

Perché, come dice Claudia, “ci si sente abbandonati: non ci sono cure, non ci sono terapie, è difficile arrivare a una diagnosi. Molte persone soffrono per questo. E io a tutti loro dico: non siamo soli, possiamo parlare, fare network. Così come dico: ci è concesso amare e dobbiamo amare come tutti gli altri”.

Capita spesso, infatti, che molte delle persone che scoprono di avere una patologia rara vengano lasciate da partner e amici, “anche a me è capitato”, racconta Claudia, che aggiunge, “è perché hanno paura. La malattia fa paura. E nella mia pagina cerco di dire alle persone “sane” che non c’è niente di cui spaventarsi, che la vita può essere sempre bella, se la si vuole vedere così, e che c’è sempre dignità, anche se non si parla più bene, anche se si soffre”.

Intanto sono già arrivati i primi feedback dai lettori: “La pagina sta servendo, perché in tanti mi scrivono per un consiglio o commentando: non ci avrei mai pensato. Questo è importante per me, significa che oggi riflettono su qualcosa su cui prima non si sarebbero soffermati. Un esempio? Le barriere architettoniche, o le stesse difficoltà che queste malattie comportano”.

Però per Claudia è anche importante che non venga negata la tristezza, che spesso e intensamente accompagna la vita delle persone affette da patologie rare. “È anche giusto essere tristi, dire: sto male. Ricordandosi, comunque, che siamo belli con le nostre diversità. Io ci credo davvero”.

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