Giornalisti, il presidente dell’Ordine, Bartoli, a Palermo: in ballo il futuro della democrazia
«È in gioco qualcosa di più ampio dei nostri percorsi personali. Attraverso il futuro del giornalismo in Italia, passa il futuro della democrazia quindi della nostra libertà». Nelle parole di Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, la sintesi di un incontro di formazione che si è svolto questa mattina presso la sede dell’Ordine dei giornalisti Sicilia, in via Bernini a Palermo. L’incontro, sul tema “Giornalista ieri, oggi, domani: la professione che cambia, il mestiere che verrà” oltre a Bartoli ha visto tra i relatori Roberto Gueli, presidente Odg Sicilia, Riccardo Arena, presidente della commissione speciale per la riforma dell'Odg, Roberto Ginex, segretario regionale Assostampa Sicilia. Nel corso della sua introduzione ai lavori Roberto Gueli ha parlato del ruolo che un Ordine regionale come l’Odg Sicilia può avere in un più ampio processo di riforma. «Dalla Sicilia devono e possono partire input e idee - ha detto Gueli - I nostri “terreni di lotta” sono importanti e legati al futuro della nostra categoria che è in forte sofferenza: querele temerarie, equo compenso - troppo poco rispettato nella nostra categoria, riceviamo segnalazioni ogni giorno - esercizio abusivo della professione. Attraverso il nostro sito abbiamo dato alcune indicazioni su questi temi, siamo in cammino insieme all’Assostampa. Se vogliamo ottenere risultati dobbiamo remare tutti dalla stessa parte». «Abbiamo fortemente voluto questo incontro e questo dibattito - ha detto Roberto Ginex, segretario regionale Assostampa - Non possiamo nasconderci, la nostra categoria è in fortissima crisi. La crisi della carta stampata, l’imperversare di siti d’informazione web più o meno credibili e leggibili. E poi la possibilità di fare informazione senza registrare la testata al tribunale, perché sappiamo che c’è la possibilità di non registrare se si ha un fatturato inferiore a certi massimali. Questo comporta una certa deregulation nel settore dell’informazione. Il quotidiano La Sicilia di Catania ha attivato una cassa integrazione lacrime e sangue per i colleghi. I collaboratori - ultimo anello della catena d’informazione di un giornale - diventano istituto di credito per la proprietà, con pagamenti arretrati di sette otto mesi. Su nostra proposta il presidente Gueli si è impegnato a ricostituire l’Osservatorio sulla Carta di Firenze. Ordine e Assostampa insieme, anche attraverso l’Osservatorio, hanno il dovere morale di vigilare. Oggi però dobbiamo passare a una fase 2. Alcune responsabilità ricadono sugli editori: abbiamo compensi di 2,82 euro lordi a pezzo. Oggi, con un’azione congiunta, dobbiamo sollecitare al Ministero della Giustizia l’adempimento di emanazione delle tabelle di compenso dei giornalisti». Riccardo Arena, consigliere Odg nazionale, è componente della Commissione speciale per la riforma dell’Ordine. «Occuparmi della riforma della legge che disciplina la nostra professione è un onore e un onere - ha detto Arena - Stiamo ascoltando vari interlocutori, tra questi Raffaele Lorusso, segretario nazionale Fnsi. Della legge attuale, ci ha detto, salverebbe solo l’articolo 2. Articolo 2 che probabilmente è l’unico in grado di sopravvivere altri sessant’anni se non di più. Parla del diritto insopprimibile della libertà di informazione e di critica: linguaggi del 1962, quando la legge fu pensata, “l’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui (…)”. La rettifica, il rispetto del segreto professionale, che riguarda giornalisti ed editori, così come lo spirito di collaborazione e cooperazione tra colleghi. L’articolo 2 è la pietra angolare su cui costruire anche la nuova normativa. Percorso non semplice, non passa solo da noi, non siamo noi i legislatori». Sui meccanismi che regolamentano l’accesso alla professione, Arena ha detto: «Nella legge 69 del 1963 si percepisce la centralità delle redazioni, delle assunzioni, per creare giornalisti professionisti. Il meccanismo di accesso alla professione che prevedeva l’assunzione, il praticantato, l’esame, la presenza di praticanti in una redazione addirittura nel rapporto di 10 a 1, non c’è più. Già dai primi anni del Duemila una serie di circolari hanno indicato una strada diversa, gente che non sarebbe mai diventata professionista. Una legge moderna non può che premiare chi prevalentemente svolge questo mestiere. Esiste un mondo parallelo che non conosciamo, quello dei social, che aggira il mondo dell’informazione, che per la “libertà di espressione” fa rimbalzare le notizie, che spesso sono le nostre notizie. Chi fa miliardi di dollari, di euro, ogni giorno, attraverso testate abusive non rispetta le nostre regole. Non riusciamo, tuttavia, a fare riconoscere l’esercizio abusivo della nostra professione. Finché l’Ordine c’è però dobbiamo garantire la sua sopravvivenza. Dobbiamo pure interrogarci sull’accesso alla professione che deve essere adeguato all’accesso alle altre professioni. Ci viene chiesto di fare selezione: la professione la deve fare chi ha almeno una laurea. Deve fare formazione professionale chi svolge in maniera veramente prevalente questa professione. La figura del pubblicista va ripensata, altrimenti si crea una massa di illusi, di gente che crede nella nostra professione ma finisce preda di giornali fantomatici, pagamenti fantomatici, dove chi imbroglia meglio riesce. I videomaker, i social media manager, fanno un lavoro assimilabile ma stanno fuori dall’Ordine. In questo Ordine, l’Odg Sicilia, non ha mai chiuso la porta. Così anche gli uffici stampa. Infine, vanno rivisti aspetti che regolamentano la disciplina. Che ha un problema fondamentale, l’inefficacia. A oggi va sospeso chi è arrestato o in custodia cautelare e finito questo periodo si può essere riammessi all’Ordine. Vanno studiati meccanismi di selezione dei consiglieri di disciplina. È necessario uno strumento più diretto di intervento, che segua il procedimento disciplinare, fino al procedimento per direttissima che consenta di tenere fuori dall’Ordine chi si è reso responsabile di comportamenti molto gravi. Con la possibilità di riesame da parte del Consiglio di disciplina nazionale e un grado di giudizio. Accesso, formazione, disciplina, sono i punti nodali e l’obiettivo a cui tenderemo cercando di lavorare nell’armonia che contraddistingue la Commissione. Vogliamo realizzare una legge che ci consenta di dire che il nostro Ordine è moderno, e che la nostra professione si adegua senza tradire il proprio obiettivo, cioè dare un contributo fondamentale alla democrazia nel nostro Paese. Una legge che possa andare bene negli anni, che potremmo definire, 4.0 o addirittura 5.0». Infine Carlo Bartoli, presidente nazionale Ordine dei giornalisti, che ha colto «un bellissimo segnale» nell’iniziativa congiunta Ordine-Assostampa. «Sulla presunzione di innocenza: un provvedimento approvato dal Parlamento nell’indifferenza generale. Non c’è un solo direttore che abbia speso una virgola su questo tema, quasi che non lo riguardasse. Abbiamo cercato di porre il problema e organizzato una serie di dibattiti. Si pongono problemi di omogeneità: non è possibile che a Palermo si utilizzi un metro e a Trapani un altro. Così si mandano in confusione i cittadini. C’è un problema di professionalità: se la legge stabilisce delle forme attraverso le quali le notizie devono essere fornite, ci siano dei professionisti, uffici stampa in ogni Procura, quindi assunzioni di giornalisti, perché questa selezione non può essere operata da un Procuratore della Repubblica. Altro elemento non trascurabile è la tempestività: il fatto che accade e a quel punto inizia la diffusione della notizia, che deve essere regolamentata. La completezza: al verificarsi di determinati fatti, una serie di atti diventano conoscibili e cade il segreto istruttorio. Atti che sono sempre circolati e circoleranno sempre. Chiediamo che tutti gli atti conoscibili vengano messi a disposizione dei giornalisti, in maniera automatica e trasparente. E poi la verificabilità: la legge sulla presunzione di innocenza è stata approvata nel 2021, quando esistono una miriade di canali di trasmissione, ma si impedisce al giornalista di verificare nomi, numero degli indagati. Se si indica “arrestato giornalista siciliano” nessun giornalista siciliano avrà piacere di essere assimilato all’unico arrestato». Su come cambia la professione, Bartoli ha detto:«Viviamo immersi in un sistema di informazione dove magari la notizia la danno altri e il giornalista la verifica. Presidiamo i nostri fortini, sicuramente, ma dobbiamo anche essere in grado di svolgere un ruolo propositivo, che ci ponga al centro della scena. Sui social bisogna starci e saperci stare, padroneggiare una serie di strumenti, e si sta in questo sistema se si sa rivoluzionare l’approccio. C’è un contenuto, questo contenuto come lo tratto? In alcuni casi può essere significativo su una piattaforma social, in altri attraverso un video, un audio, o lo scritto. Bisogna partire da un concetto ampio della nostra professione. Cosa che non è agevolata dall’esame, che rappresenta una fetta di questo percorso professionale. Deontologia ed etica sono il valore fondamentale che regolamenta la nostra professione, che ci differenzia dai “furbetti”. Un argine a una deriva possibile è avvenuto con il Covid, quando il comportamento degli utenti si è rivolto verso strumenti di comunicazione che avevano una credibilità. Nei giorni scorsi abbiamo ospitato una delegazione di una Commissione internazionale in materia di diffamazione. All’estero si parla di depenalizzazione, i dati di Ossigeno per l’informazione parlano invece anche di carcere. Ricordo gli sguardi attoniti di questi colleghi stranieri. Le querele temerarie sono uno dei principali ostacoli dei meccanismi di informazione. Possibile che rispetto a questi temi il Parlamento italiano sia totalmente disinteressato?». Infine, Bartoli volge lo sguardo al futuro: «Allargare i confini del giornalismo, aprire ad altre professionalità. Il social media manager laureato in informatica non è accettabile dal nostro punto di vista. Non dobbiamo lasciare ad altri il campo dell’informazione, se il giornalista si chiude nel suo fortino muore. Dobbiamo, inoltre, cambiare il nostro modo di chiedere sostegni all’editoria. Questo non può essere solo un sostegno all’occupazione. Più risorse a chi assume e a chi manda a casa i colleghi è una spoliazione della ricchezza. Pensiamo ad altre esperienze, come all’estero, anche di tipo cooperativo. Teniamo sempre presente che senza pluralismo, senza informazione, non c’è democrazia. Il futuro del giornalismo non è solo quello che determina i nostri destini individuali, ma è qualcosa che non vorremmo venisse corrotto e cioè la democrazia, quindi la libertà».