Società vuote: senza personale, senza attività ma "burocraticamente" perfette. O quasi. Il sistema di false fatturazioni è stato scoperto dalla guardia di finanza di Palermo nell'ambito dell'operazione «Fiscal service» che ha portato al sequestro preventivo di quattro società e 160 mila euro, oltre ai domiciliari per Armando Caggegi, 71 anni; Giovanni Cannistraro, 70 anni; Pietro Anello, 68 anni. Le indagini hanno fatto trapelare l'esistenza di un gruppo criminale, radicato da tempo nel capoluogo siciliano, e con numerose relazioni ramificate sia nella provincia di Palermo che in quelle limitrofe. La banda, secondo la ricostruzione degli investigatori, si sarebbe specializzata in reati in materia tributaria dove un ruolo preminente va ad Armando Caggegi, affiancato da Giovanni Cannistraro e Pietro Anello. Tra i tre, nelle pagine dell'ordinanza che ha portato al loro arresto, vi sono una serie di dialoghi finalizzati proprio alla gestione di rapporti economici con i "clienti" e alla soluzione delle varie problematiche che si andavano via via profilando. A contraddistinguere il core businness del gruppo sono le emissioni di fatture per operazioni inesistenti, dove "la falsità ideologica - scrivono i giudici - emerge sia sull'esecutore della prestazione che sulla stessa veridicità della prestazione". Ci sono documenti fiscali falsi emessi attraverso ditte individuali e società che non hanno una vera sede, una vera consistenza patrimoniale, una struttura, né mezzi, né tantomeno personale. Si tratta di aziende fantasma che hanno soltanto un nome, una partita Iva, una per per la fatturazione elettronica: insomma quanto basta per dare una parvenza di regolarità formale alle fatture emesse e per rappresentare sulla carta operazioni e prestazioni che avessero una rilevanza fiscale ma che erano inesistenti nella realtà. Nel caso di alcune ditte individuali e delle società riconducibili ai tre e di alcune delle operazioni di fatturazione che venivano poste in essere si presenta una componente aggiuntiva da cui si vince una strategia che sarebbe stata messa in atto per cautelarsi rispetto a possibili verifiche fiscali. In particolare venivano prodotte "pezze d'appoggio" del documento fiscale ma in realtà si trattava di artifici. Attività illegali che non venivano svolte gratuitamente dagli indagati così da potere in qualche modo controbilanciare il rischio. La quota veniva fissata nel 10% riconosciuta anche dai cosiddetti clienti. l'intervista a Gianluca Angelini, comandante del nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo