Palermo, la confisca da 200 milioni al patrimonio di Vincenzo Rappa. Il video dei beni nel mirino
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Nel mirino il patrimonio di Vincenzo Rappa. La Dia di Palermo ha dato esecuzione al decreto di confisca da 200 milioni. emesso dal tribunale di Palermo – I sezione penale e misure di prevenzione lo scorso novembre, nei confronti degli eredi dell'imprenditore, morto il 28 marzo del 2009, all’età di 87 anni. Nello stesso procedimento, però, il tribunale ha disposto il dissequestro di altri beni e società, intestati agli eredi dell'imprenditore e già oggetto della procedura nel marzo 2014. L’autorità giudiziaria evidentemente non li ha ritenuti collegabili all’attività imprenditoriale di Vincenzo Rappa. Il provvedimento di confisca riguarderebbe l'intero capitale sociale e relativo compendio aziendale di tre società di capitali attive nel comparto delle costruzioni edilizie e nel campo finanziario, una società di persone, quote in partecipazioni societarie di una società di capitali, 183 immobili, un intero edificio di otto piani, rapporti bancari e disponibilità finanziarie. Sono stati confiscati immobili di valore storico-artistico, come l’intero edificio del Settecento denominato “Palazzo Benso”, oggi sede del Tar di Palermo, in via Butera, angolo piazzetta Santo Spirito, confinante con la passeggiata delle Cattive e Palazzo Butera, composto di piano terra, due piani elevati con ammezzati e piano sottotetto, con terrazza a mare, esteso per 1.200 metri quadri; “Villa Tagliavia”, al civico 123 di via Libertà esteso per 2.300 metri quadri, oltre 15.000 metri quadri di giardino; l’intero edificio in via Ugo La Malfa 153, sede regionale del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Le indagini, coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal sostituto procuratore Claudia Ferrari, hanno consentito di ricostruire la biografia e la parabola economica dell’imprenditore edile Vincenzo Rappa, che era stato già condannato in via definitiva nel 2004 dalla Corte d’Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio aggravato. Gli accertamenti eseguiti, anche con il supporto delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Angelo Siino, Giovanni Brusca, Vito Galatolo, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Francesco Onorato, Salvatore Cucuzza, Antonino Avitabile, Calogero Ganci Francesco Paolo Anzelmo, Tullio Cannella, Antonino Galliano e Salvatore Lanzalaco, hanno fatto emergere una grande sperequazione fra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati da Rappa, anche grazie all'utilizzo di capitali illeciti. Dagli accertamenti degli inquirenti è emerso che Vincenzo Rappa avrebbe avuto i suoi legami con numerosi personaggi di spicco di cosa nostra come Raffaele Ganci, della famiglia della Noce, gli esponenti della famiglia Madonia della famiglia di Resuttana, i membri della famiglia Galatolo dell’Acquasanta, la famiglia di Borgetto. Al riguardo, il Tribunale afferma che "le condotte poste in essere da Vincenzo Rappa di certo non si sono limitate alla mera contiguità o vicinanza a cosa nostra, ma si sono sostanziate in azioni senz’altro funzionali agli scopi associativi”. Rappa negli anni, secondo le accuse, avrebbe finanziato esponenti di spicco di cosa nostra, ottenendo, in cambio, la possibilità di realizzare importanti operazioni immobiliari, traendo vantaggi, sia nel settore dell’edilizia privata, che in quello dei pubblici appalti.