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Stato-mafia alle battute finali, le tappe del processo lungo 5 anni

PALERMO. Pezzi dello Stato avrebbero fatto accordi con Cosa Nostra per far finire le stragi di sangue che, tra il '92 e il '93, stavano mettendo in ginocchio l'Italia. Parte da questa tesi, il 27 maggio del 2013, il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, che ora si avvia alle battute finali con i giudici pronti alla camera di consiglio e alla successiva sentenza.

Davanti alla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, sul banco degli imputati ci sono gli ex vertici del Ros dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i boss Totò Riina, Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri e il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato.
Ci sono anche Massimo Ciancimino, testimone chiave e imputato per concorso in associazione mafiosa, e gli ex ministri Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, e Calogero Mannino che, rinviato a giudizio, sceglie il rito abbreviato e nel 2015 viene assolto.

Parte civile al processo il Centro studi Pio La Torre, l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, la presidenza del Consiglio dei ministri, la presidenza della Regione siciliana, il Comune di Palermo, l'associazione Libera e l'associazione vittime della strage dei Georgofili.
Grandi assenti al processo il boss Bernardo Provenzano, per gravi problemi di salute che lo porteranno dopo poco tempo alla morte, e il pm Antonio Ingroia che lascia la toga per la politica.
Ad istruire il dibattimento è Nino Di Matteo, insieme a Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene.

Alla fine del processo, durato quattro anni e otto mesi, il conto più salato lo ha pagato sinora Mario Mori, ex comandante del ROS e direttore del Sisde a cui vengono dati 15 anni di carcere alla fine della requisitoria conclusa a gennaio. I giudici danno ragione invece all'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, accusato in seguito ad intercettazioni telefoniche tra lui e Mancino: i nastri sarebbero irrilevanti per il processo e verranno distrutti.

Nel frattempo anche Totò Riina, altro imputato eccellente, muore.
Per i membri del Ros Antonio Subranni e Giuseppe De Donno sono stati chiesti 12 anni ciascuno. Stessa pena è richiesta per Marcello Dell'Utri, ex senatore di Forza Italia ritenuto referente politico dei boss dopo l'arresto dell'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. 6 anni invece la richiesta di condanna per Nicola Mancino che avrebbe mentito ai giudici del processo in cui Mori era imputato di favoreggiamento alla mafia.

Per il mafioso Leoluca Bagarella sono stati chiesti sedici anni, dodici per Antonino Cinà, medico e fedelissimo del padrino di Corleone. Invocate invece le prescrizioni dalle accuse per Giovanni Brusca e per Massimo Ciancimino, accusato di concorso in associazione mafiosa, ma il cui contributo a Cosa Nostra si sarebbe esaurito nel 1993, quando insieme a suo padre Vito e a Bernardo Provenzano, avrebbe fatto arrestare il "capo dei capi" Totò Riina.

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