PALERMO. Trentotto anni fa la mafia uccideva Boris Giuliano. Nel giorno del ricordo del capo della squadra mobile di Palermo è stata deposta una corona di alloro sul luogo dell'omicidio. "Boris Giuliano rappresenta la figura straordinaria a cui tutti gli investigatori si sono ispirati", commenta il questore di Palermo, Renato Cortese. Davanti al bar Lux, dove Giuliano venne raggiunto e colpito dai sicari, si sono ritrovati oggi la moglie Maria Ines, i figli Selima, Manuela e Alessandro che ha seguito il percorso professionale del padre nella polizia: ora è capo dello Sco, Servizio centrale operativo. In via Di Blasi c'erano anche il sindaco Leoluca Orlando, funzionari di polizia, amici di Giuliano. "Ha individuato il salto di qualità e di potere della mafia. Oggi lo ricordiamo, è stato un grande poliziotto che ha immaginato una Palermo diversa", ha detto Orlando. "Chi conosce la storia della squadra mobile di quegli anni - ha aggiunto Cortese - sa che Boris Giuliano è stato l'inventore di un metodo investigativo che ha cambiato il modo di gestire le indagini sulla mafia. Quel metodo ha reso più facile anche quello che noi facciamo oggi. Giuliano ha conosciuto anni difficili. Era solo. E' diventato un obiettivo da colpire". Boris Giuliano, tra i primi poliziotti italiani ad avere stabilito rapporti coi colleghi del Fbi e con le più importanti strutture investigative americane, aveva orientato la sua attività sul fronte degli affari di Cosa nostra e sul traffico della droga. Oltre ad avere scoperto una raffineria di eroina, aveva intercettato all'aeroporto di Punta Raisi una valigia con 600 mila dollari. Rappresentavano il compenso per una fornitura di droga alle "famiglie" italo-americane. Aveva anche individuato il covo di Bagarella, cognato di Totò Riina. Subito dopo venne eliminato. Anche il presidente del Senato lo ricorda attraverso un post su Facebook: "Leoluca Bagarella aspettò pazientemente che si voltasse per pagare il caffè: solo allora lo freddò con due colpi alla schiena. Morì così Boris Giuliano, un poliziotto eccezionale che aveva capito "Cosa nostra" quando ancora era misteriosa e impenetrabile. Ricordo il suo raffinatissimo fiuto investigativo e l'ammirazione che suscitava nei colleghi e nei cittadini della nostra Palermo. La prima volta che lo incontrai era il 1970, ci ritrovammo nella stanza del Giudice Terranova. Seppe sciogliere, con gentilezza e simpatia, la mia naturale tensione: in fin dei conti all'epoca avevo 25 anni, ero solo un giovanissimo magistrato davanti a due grandi uomini dello Stato. È un ricordo a cui sono molto affezionato e che mi emoziona sempre". Immagini di Marco Gullà