PALERMO. E’ tornata in carcere Kadga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica fermata a dicembre a Palermo per istigazione a delinquere in materia di reati di terrorismo. La Cassazione ha confermato la decisione dei giudici del Riesame che avevano annullato il provvedimento con cui il gip aveva disposto per la donna l'obbligo di dimora e non la custodia cautelare in carcere chiesta dalla Procura.
Shabbi è stata considerata una “cellula dormiente” vicina all’organizzazione “Ansar Al Sharia Libya”. La donna era sostenuta economicamente con una borsa di studio dall’Ambasciata Libica in Italia e era iscritta al dottorato di ricerca in Scienze economiche aziendali e Statistiche della Facoltà di Economia dell’Università agli Studi di Palermo.
La ricercatrice libica sarebbe vicina ai “foreign fighters”, presenti anche nel territorio nazionale ed europeo, che esaltano il radicalismo religioso e le milizie combattenti in Libia. Dalle indagine emerge che Kadga Shabbi sarebbe stata molto attiva in “rete”, soprattutto nei social network, attraverso i quali la donna avrebbe manifestato il suo interesse e la sua vicinanza alle milizie islamiche riconducibili all’Isis,contrapposte nel conflitto libico al governo di Tobruk, riconosciuto dalla Comunità Internazionale.
La donna, interessatissima alle vicende politiche del suo Paese, visitava continuamente le pagine Facebook di diversi gruppi legati all'estremismo islamico, condivideva sul suo profilo del social network materiale di propaganda della attività di organizzazioni terroristiche: volantini, 'sermonì di incitamento alla violenza e scene di guerra. La motivazione della decisione della Cassazione non è nota. Per i giudici del Riesame di Palermo, però, la donna «ha mostrato di essere in grado di padroneggiare gli strumenti di comunicazione di massa con spregiudicatezza e di volerli finalizzare alla diffusione dell'esaltazione della guerra e del terrorismo islamico. È chiaro che la misura dell'obbligo di dimora è quanto meno distonica rispetto al fine cautelare».
La lontananza dagli scenari di guerra non avrebbe impedito alla Shabbi di “lottare” contro chi non condivide i suoi ideali, portandola così,ad esempio, a minacciare esplicitamente una connazionale residente a Palermo, colpevole di non aver condiviso la sua posizione ideologica radicale.
E’ emerso dalle intercettazioni di una chat, tra Shabbi e un miliziano attivo negli scontri in Libia, nella quale la donna avrebbe scritto di essere :“…con il Consiglio della Shura…”, (facendo chiaramente riferimento al “Consiglio dei Rivoluzionari della Shura di Bengasi”); aggiungendo, inoltre, “…come ti avevo detto se hai bisogno di qualsiasi cosa la farò, considerami come tua sorella maggiore”.
Tra l’altro, le conversazioni telefoniche intercettate, hanno consentito di accertare come la donna, nella prima fase delle indagini, si sia attivata nell’intento di far giungere in Italia il nipote combattente in Libia per le milizie vicine all’Isis, per sottrarlo alla cattura da parte dell’esercito regolare libico. Nel corso di un’altra conversazione telefonica la donna intercettata dagli investigatori, avrebbe suggerito ad alcuni familiari, di far scappare in Tunisia il nipote, nel tentativo di ottenere il rilascio del visto d’ingresso per l’Italia presso la sede dell’Ambasciata italiana in Tunisia. La ricercatrice si sarebbe attivata per far arrivare il nipote in Italia e iscriverlo in una scuola di italiano per stranieri a Palermo, in modo da tentare di ottenere per lui il rilascio del visto d’ingresso per motivi di studio. Suo nipote, invece, sarebbe rimasto ucciso nel corso di una operazione militare condotta dall’esercito “regolare” libico.
Il 19 maggio scorso, infatti, sarebbe stato intercettato un post della Shabbi in cui avrebbe scritto: “Battar per favore vendicate la morte della persona più vicina al mio cuore. Loro mi hanno fatto soffrire molto, Dio deve farli soffrire”.
A tale richiesta l’amministratore della pagina rispondeva che sarebbe stata fatta vendetta. La Brigata Battar è una delle milizie islamiche, costituita da veterani di guerra che rappresentano il nocciolo duro della parte libica del Califfato.
Da un’altra conversazione si evincerebbe la completa messa a disposizione della Shabbi:“So che io non posso fare nulla ma se avete bisogno di qualsiasi cosa da me, io la farò”.
Da queste risultanze investigative emergerebbe, infine, con estrema chiarezza, che la morte del nipote, quindi, la presenza di un “martire” in famiglia, sarebbe stata una delle ragioni della sua radicalizzazione, tanto che la stessa era pronta ad offrire il suo contributo ed il suo sostengo ai combattenti di Ansar Al Sharia Libya.
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