"Viva, viva san Giuseppe", il grido si alza in ogni borgata di Palermo, un passaparola senza tempo, che passa dalle bocche dei grandi a quelli dei più piccoli come un'eredità che, nonostante le sue contraddizioni, riesce a sopravvivere. Sono proprio i bambini i protagonisti delle vampe di san Giuseppe che come ogni anno, da tantissimi ormai, rischiarano vicoli, anfratti, palazzi, di una città che fa della sua devozione un momento per far festa. Sacro e profano attraversano l'uno la soglia dell'altro, in pochissimi conoscono le radici di questa celebrazione, che è sintomo di un'appartenenza talvolta malata, perché la pratica di raccogliere materiale infiammabile, soprattutto legno, nelle settimane precedenti al 18 marzo, vigilia della festa di san Giuseppe e data deputata per le vampe, porta spesso a commettere atti di vandalismo pur di recuperare l'occorrente. E ogni borgata compete con la vicina per allestire la pira più alta e alimentare una vampa che duri almeno un paio di ore, per ballarvi intorno, urlare e cantare. Spesso in alcuni quartieri, come la Kalsa o il Villaggio Santa Rosalia, vengono organizzati dei piccoli festini con musica, balli, vendita di bibite, giochi d'artificio e perfino tavolate allestite con vino e sfince di san Giuseppe, dolce della tradizione. Una tradizione che in pochi sanno affondare in tempi remotissimi, un rituale pagano per celebrare la fine dell'inverno e l'avvento della primavera, con l'equinozio. L'uso propiziatorio del fuoco era anche simbolo di purificazione, i contadini accendevano piccole vampe per bruciare i residui del raccolto e rendere fertile il terreno per la semina futura. Servizio di Rossella Puccio.
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