Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Ninni Vaccarella, il ricordo di una vita lungo i tornanti delle Madonie

Vaccarella e Guichet sul podio di Le Mans
Con la P2 in una curva vicino a Caltavuturo
Ninni Vaccarella su Ferrari 312 P alla Targa Florio del 1973
La bacheca dei trofei
Gli album fotografici

Poco prima di arrivare a Collesano c’è una doppia curva a destra in cui, su un muro, è ancora possibile leggere W Nino. Una scritta bianca sbiadita, testimone di un tempo che da ieri è ancora più lontano. Il cronometro di Ninni Vaccarella si è fermato ieri mattina, quando ormai, a 88 anni, scorreva molto più lentamente e quei giorni che lo incoronarono tre volte re delle Madonie erano un ricordo carico di nostalgia. E però non c’è un paese attraversato dai 72 km del circuito della Targa Florio in cui il ricordo di Vaccarella non sia ancora vivo. Colori pastello, non un bianco sbiadito. All’entrata di Collesano c’è una piega a sinistra dove per anni si è potuta intravedere un’altra scritta: Attento Nino. Apparsa il giorno dopo la gara del 1967, che terminò urtando un marciapiede e distruggendo due ruote. Per arrivare a Collesano bisognava prima buttarsi alla cieca su strade strette in discesa o risalire tornanti alla massima velocità. Quando rifece quel circuito con i giornalisti per celebrare i cento anni della Targa confessò che il suo tratto preferito era quello all’inizio che porta a Cerda: «Qui, su questa serie di destra-sinistra, il segreto è togliere la mano dal cambio e tenere giù il piede. Se non hai il coraggio, sei fregato». E lui il coraggio non lo ha perso mai. Ogni anniversario, ogni festa di paese, era l’occasione per rifare quel circuito come quando correva per vincere e lo ripeteva per cercare la traiettoria perfetta. «Avrò fatto almeno mille giri» raccontava negli ultimi anni aggiungendo ogni volta un nuovo dettaglio: «Quando finiva l’inverno, dopo la scuola, venivo qui per fare 2 o 3 giri. Una volta arrivai a Collesano, era Pasqua, c’era la processione. Mi riconobbero, mi caricarono a braccia e portarono anche me in corteo». La scuola era quella che lui dirigeva, ereditata dal padre. Lo chiamavano il Preside volante. E preside lo fu davvero, perfino quando la gloria lo aveva già raggiunto. Ferrari raccontava che dopo grandi vittorie prendeva un aereo e tornava a scuola: successe anche nel 1970, dopo aver vinto con Mario Andretti e Ignazio Giunti la mitica 12 ore di Sebring, in Florida, si presentò in classe per la lezione. Ha vinto tanto con Ferrari. E il Drake gliene fu sempre grato: nel 1964, l’anno della prima vera sfida della Ford a Maranello, portò al trionfo la leggendaria 275 P a Le Mans. E molti anni dopo, seduto nel suo divano vicino alla finestra che si affaccia su via Autonomia Siciliana confessò di essere «molto legato soprattutto al trofeo di quella vittoria: un set di bicchieri di cristallo pregiatissimo». Sono ancora a casa sua. In quello stesso anno vinse anche al Nurburgring e quella era la vittoria della rinascita: «Proprio un anno prima, guidando una Ferrari su quella pista che era una partita a scacchi con la morte, andai fuori strada e rischiai l’amputazione di un braccio». Alla fine di quell’ anno Enzo Ferrari gli regalò una medaglia, con scritto 1964, che ha portato al collo fino all’ultimo. Eppure, le vittorie che amava raccontare erano quelle alla Targa Florio. Anzi, quelle erano vittorie che amava rivivere. Tutte e tre. Ogni volta che ripassava dal bivio di Montemaggiore ricordava che «nel ‘67 la Rai, per una delle prima riprese con l’elicottero, mi chiese quale sarebbe stato il punto migliore da sorvolare. Io gli dissi, mettetevi a quel bivio. E io lì superai con la Ferrari P4 la favolosa Chaparral di Phil Hill». Si esaltava ancora quando arrivava al bivio Scafani, puntava la salita scalando di marcia verso Caltavuturo. Lì c’è una curva a sinistra e quando la vedeva faceva notare una lapide che ricorda gli incidenti mortali del conte Masetti nel 1926 e di Fulvio Tandoi nel 1971. Allora si concedeva un amarcord: «Gli voglio bene a questo pezzo d’asfalto. Nel '71 inseguivo la Porsche di Vic Elford ma andai fuori strada. I tifosi caricarono la mia vettura facendo una fatica enorme per rimetterla in pista». E poi lui vinse: «Quando vincevo io, era come se ce l’avessero fatta tutti i siciliani», questo diceva ancora Vaccarella quando pensava a quei giorni di cui conservava tutto, anche gli articoli che in futuro scriverà per il Giornale di Sicilia nella sua rubrica Vedo Rosso. Lo pensava anche Ferrari, che nel suo «Piloti, che gente» inserisce Vaccarella fra i più grandi: «Il percorso delle Madonie, nella sua Sicilia, esaltava le sue doti di stradista e bisognava proprio che incontrasse improvvise contrarietà per non risultare al traguardo primo. Ha conseguito grandi vittorie e poi è tornato a fare il preside della sua scuola a Palermo». In realtà, c’era un’altra strada che Vaccarella amava percorrere anche se non è più quella del 1958, quando vi disputò la sua prima gara. Era il percorso che da Passo di Rigano conduce a Bellolampo: «Feci quella corsa con una Lancia Aurelia 2.500. Oggi non ce l’ho più, l’ho venduta per un paio di milioni di lire. E invece adesso varrebbe una fortuna». E quando lo diceva, agli amici che radunava a casa per parlare di corse, mostrava anche la fattura che un prestigioso meccanico dell’epoca, Gioacchino Vari, gli presentò per potenziargli il motore: «Mi costò 268 mila lire. Pagai tutto io, non avevo sponsor ma ne valeva la pena». Sì, ne valeva la pena perché da lì iniziò una carriera lunga 18 anni. Che ha attraversato le strade e gli anni più affascinanti della Sicilia: «Assurdo che oggi siano strade dissestate». Temeva che la Targa, quella vera per i cavalieri del rischio, così venisse dimenticata. E forse temeva che anche lui potesse essere dimenticato. Per questo motivo fino all’ultimo ha chiesto, inutilmente, che venisse creato un museo dove esporre le sue coppe luccicanti, le medaglie e le lettere di Ferrari, le tute, i caschi, quei bicchieri di Le Mans che proprio non accettava potessero restare chiusi in un cassetto. Voleva un palcoscenico per celebrare la sua vita. Invece la sua storia resterà per sempre per strada, in quei tornanti da cuore in gola delle Madonie.

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