È uno stato dell’arte liquido, mentre scrivi ci sarà sempre un artista in un angolo, vicolo, via o piazza, che starà disegnando su un muro, spruzzando, graffitando. E la città si arricchirà di un nuovo lavoro, bello o brutto, sognante o stridente, con un messaggio o senza. Lo street artist per antonomasia non lo puoi ingabbiare e, anche quando lavora su commissione, pretende sempre una sua libertà espressiva di concezione, struttura e scrittura. Per la prima volta Palermo si è ritrovata ad enumerare i suoi murales e le opere urbane nate sulle pareti della città: una vera mappa aggiornata – per quanto possibile esserlo, proprio per i motivi di cui parlavamo sopra – di ciò che i muri ospitano. Anzi proprio da qui si parte: dai muri che l’amministrazione ha elevato al rango di “lavagne” libere mettendoli a disposizione degli artisti. Da questo racconto è nato il catalogo dedicato alla street art della città: una sorta di istantanea di un preciso momento storico di una forma espressiva in continuo divenire. La pubblicazione è stata voluta dal Comune che mesi fa ha lanciato un bando per la sua realizzazione, vinto da Gomez&Mortisia: il volume è nato durante la pandemia, ma è stato presentato solo ieri. Il coordinamento istituzionale è di Licia Romano e Caterina Guercio, la direzione artistica di Danilo Li Muli, il coordinamento esecutivo di Luca D’Agostino e Lino Ganci che ha firmato anche uno dei testi presenti; diversi i contributi – tra gli altri, quello di Fra’ Mauro Billetta che ha raccontato la nascita del progetto Danisinni – che hanno cercato di colmare il “disavanzo” funzionale che corre tra un’arte notoriamente da battaglia e uno habitat istituzionale. Ma Palermo è città di dialogo e nel 2018 ha riconosciuto ai vituperati graffitari (o vandali, per molti) uno vero e proprio “stato” che ha portato l’anno successivo alla creazione di un albo ufficiale a cui accreditarsi per poter poi dipingere su uno (o più) dei 24 “muri liberi” autorizzati sparsi per la città, da Brancaccio a Mondello. Accanto a queste pareti, “Street Art Palermo” propone un volo d’uccello sulla Public art palermitana, murales inseriti nel tessuto urbano, spesso realizzati su importanti commissioni – uno per tutti, il murale sui giudici Falcone e Borsellino, alla Cala -, ma spesso esigenza di parola in quartieri difficili come Ballarò o lo Sperone. “Urbanesimo umano: l’opera d’arte non è più chiusa nei palazzi, ma diventa grimaldello – dice il sindaco Leoluca Orlando -la street art rende la città una comunità. Le esperienze a Danisinni, allo Sperone, alla Cala, a Brancaccio, dimostrano come chi vive in quelle strade e in quei quartieri, che forse non è mai andato in un museo o in un teatro, apprezza l’arte perché la sente parte della vita”. Per l’assessore alle CulturE Mario Zito, “l’arte visiva è entrata prepotentemente nelle periferie della città oltre che nel centro storico, contribuendo fattivamente a creare le condizioni idonee per la costruzione della città-comunità”. Un lungo racconto per immagini – firmate da Antonio Cilona, Rori Palazzo, Rossella Puccio e Pietro Trippodo – che è una mappa concreta di un immaginario fremente e leggero, colorato e fantasioso, che spesso vuole urlare, ma che ancora più di frequente è una carezza leggera, una prova d’autore. Focus sui quartieri-lavagna, pensieri dei writers, piccole storie. E le opere, straordinarie, che spesso raccontano più di un articolo, di un libro, di una foto: c’è la versatilità dei quartieri, ci sono i profumi che sembrano balzare fuori dai vicoli, tra santuzze e madonne, mamme e disgraziati, animali e cristiani, personaggi veri e cartoon irridenti. Ci sono i giovani artisti, soprattutto: una platea a cui di solito non si dedica attenzione, e che invece hanno tantissimo da dire. Sono murales che ascoltano più di associazioni e istituzioni, e spesso sono chiavi di san Pietro per penetrare la vita quotidiana di chi si sente ancora ai margini.