Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

La musica negli scatti di un «non-fotografo» - Foto

Martha Argerich
Alicia De Larrocha
Giovan Battista Maria Falcone

PALERMO. Vedere la musica e fotografarla, Giovanni Battista Maria Falcone ascolta la musica con gli occhi, la guarda con le mani e con la testa e la stampa in «Paesaggi musicali 1900 - 2014»: sessanta ritratti in sinfonia di luci e note, di capelli e sguardi, rughe e melodiche stanchezze in mostra a Palazzo Ziino. Una meta-musica che si sente e si vede nei riccioli volanti e agitatissima camicia bianca di Misha Maisky, o nelle mani radici di Annie Fisher che entrano nel pianoforte e suonano le ultime note della vita. Suonano la gonna a quadri e i tacchi sui pedali di Alicia de Larrocha magica casalinga al piano, e senza una parola da dire suonano le pieghe del viso di Vlado Perlemuter, il grande pianista ritratto nella locandina, negli ultimi anni suonava sbagliando moltissime note “ma creando una timbrica perlacea” che ancora oggi i critici ricordano con nostalgia. Suona fortissimo il silenzio immobile di Aldo Ciccolini prigioniero di una poltrona, e Martha Argerich è un pianoforte vivente che scioglie i capelli sul divano. Molti dei musicisti ritratti suonano nelle vie dei capelli, Stanislav Bunin, Paolo Restani, Irina Vinogradova, Roberto De Candia, capelli che fanno un’orchestra disordinata sulla testa di Marco Betta. Suonano nel buio le luci di leggio del direttore Giampaolo Testoni, la spalla movimentata di Uto Ughi al violino che dirige l’orchestra. Gli incontri con la grande musica quasi tutti a Palermo, nelle sale da concerto e nei retropalco, durante le prove, nei camerini o nei conservatori, anche nell’improvvisazione di luci precarie, «ho fotografato Ciccolini sotto una lampadina che pendeva dal soffitto» dice Falcone. Un allestimento che ha recensioni di prestigio, Gillo Dorfles, Arturo Carlo Quintavalle, i saggi critici di Enrico Fubini e di Anna Maria Amitrano. «Giovanni Battista Maria Falcone è l’autore che interpreta il degrado urbano e la meraviglia dei cieli - nelle parole di Aurelio Pes -, il suo rapporto con le stelle e con le nuvole è da Beato Angelico. E in estrema tenerezza riesce a parlare con l’obiettivo di interni degradati, di casupole e vecchiette». Lui, l’autore di questa mostra organizzata a Palazzo Ziino fino a gennaio dal settore Cultura del Comune - l’assessore Andrea Cusimano e il capo area Eliana Calandra - si dichiara affascinato dalle luci meridionali. Ha prodotto una serie di lavori su «The wast land e Sole di Sicilia», la luce-sole che disegna pareti, cupole, silos, fili dell’alta tensione, architetture industriali e anche vegetali svenuti, con testi di Alda Merini e Gillo Dorfles (volume edito da Eugenio Maria Falcone editore). In altri allestimenti «Ordine e disordine», «L’estetica trasgressiva e lo stile abusivo» con testi di Vincenzo Consolo e Mario Bellone. Ha frequentato il liceo a Bagheria, docente di fotografia ad Architettura per alcuni anni, si dichiara un non-fotografo e in particolare «un fotografo metafisico». «Mi occupo di fotografia come un letterato per raccontare spazi e luci, fotografando un cielo vorrei rendere visibile l’invisibile…». Testo di Delia Parrinello

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