Palermo

Sabato 23 Novembre 2024

Bagheria celebra Mimmo Pintacuda, il fotografo che ispirò Guttuso e Tornatore

Mimmo Pintacuda (1975)
Uno scatto di Mimmo Pintacuda
La presentazione del libro e della mostra su Mimmo Pintacuda: da sinistra Paolo Pintacuda, il sindaco Filippo Tripoli, l’architetto e giornalista Roberto Tedesco e Peppuccio Tornatore
L’inaugurazione della mostra
Totò Cascio e Philippe Noiret in una delle scene girate nella camera di proiezione
Renato Guttuso

A dieci anni dalla scomparsa, Bagheria ricorda Mimmo Pintacuda, che con i concittadini Carlo Puleo e Ferdinando Scianna forma la triade dei grandi fotografi locali. E lo fa con una mostra, inaugurata lo scorso marzo, che resterà visitabile fino al 30 giugno nel Museo intitolato a Renato Guttuso, altra figura «baariota» che con Giuseppe Tornatore e Ignazio Buttitta completa l’olimpo prosperato a cavallo di due secoli. Sia con il pittore che con il regista, Pintacuda ha condiviso due lunghe stagioni segnate dall’amore per l’arte.

Il pittore copiò uno scatto...

Con il primo l’amicizia nacque da uno scontro agli inizi degli anni Sessanta, quando Pintacuda fotografò Onofrio Ducato (altro bel nome bagherese di una famiglia di abili artisti) intento a decorare un carretto siciliano e chiamò la foto Pittore di carretti. Anni dopo il gestore del cinema nel quale lavorava come proiezionista gli portò in cabina la rivista comunista Vie Nuove per mostrargli l'immagine di un dipinto di Guttuso che era palesemente tratto dalla sua foto, con la differenza che nella tela mancava la testa di Ducato. Pintacuda non la prese per niente bene e dovette anche subire che la gente in paese desse ragione al pittore. Aspettò parecchi anni finché Palazzo dei Normanni ospitò un’antologica di Guttuso che contava anche il suo «pittore di carretti». Fece dell’opera una foto alla quale in una busta aggiunse la propria e spedì la raccomandata a Roma, in casa Guttuso, con un biglietto: «Della mia foto ho i negativi. Se li vuole, glieli vendo». L’artista rispose a breve giro con due righe: «Mi sono già servito della sua foto, per cui respingo la sua proposta». Era la prova che Pintacuda cercava: l’ammissione da parte dell’artista di aver copiato da lui. Fu la fine di una lite e l’inizio di una lunga amicizia, tanto che fino alla morte Guttuso avrebbe scritto tutte le presentazioni delle mostre di Pintacuda e su Repubblica avrebbe firmato un articolo sulla sua serie dedicata ai «mostri» di Villa Palagonia in degrado e assaliti dalle antenne televisive. Dice all’Agi il figlio Paolo, sceneggiatore, scrittore e curatore della mostra: «Quella foto è una delle pochissime, se non la sola, che sia stata da mio padre studiata e preordinata, perché non amava la posa e il rapporto tra fotografo e persona fotografata. Preferiva l’istantanea, ma era sempre un ritratto che otteneva. Da ragazzino mi portava con sé in giro per Bagheria e mi spiegava il mestiere, poi mi faceva stare fermo per fotografarmi e all’ultimo istante si girava e puntava un altro soggetto, quello che voleva in realtà fotografare a sua insaputa. Mi utilizzava insomma come mezzo di distrazione».

La vera storia di Alfredo

Da ragazzino anche Tornatore accompagnò per molto tempo Pintacuda, dal quale mutuò l’amore per la fotografia. Alla promozione in quinta elementare, il padre acconsentì a comprargli una macchina fotografica che Pintacuda consigliò fosse professionale, sicché Peppuccio ebbe una costosa ma superba Rolleicord con la quale si mise subito all’opera, ottenendo due risultati: l’apprezzamento compiaciuto di Pintacuda e i fondamenti utili al futuro mestiere di regista cinematografico. Fu proprio il padre del regista, Peppino Tornatore, a fare conoscere Pintacuda a Peppuccio la volta in cui, dovendo parlare a uno dei fratelli Ducato e sapendo che poteva trovarlo nella cabina del proiezionista fotografo lo portò con sé. Tra proiettori, pellicole, feritoia sulla sala gremita e fascio di luce sullo schermo, Peppuccio rimase stregato e chiese di poter tornare, maturando in questo modo l’idea che il mondo avrebbe visto realizzata in Nuovo Cinema Paradiso, lui nei panni del piccolo Totò e Pintacuda in quelli di Alfredo, i ruoli poi sublimati nel film premio Oscar dal piccolo Totò Cascio e dal grande attore francese Philippe Noiret. La mostra è intitolata Il testimone discreto, a dare l’idea di un osservatore girovago che coglie la realtà senza farsi accorgere della propria presenza, ed è accompagnata da un catalogo scritto da Paolo Pintacuda, il quale ha colto l’occasione per stendere la biografia del padre secondo capitoli tematici, conservando il titolo dell’esposizione e aggiungendo la specificazione La storia del vero Alfredo di Nuovo Cinema Paradiso (Edizioni Sikè), ricalcando così il titolo della mostra del 2015, Alle origini di Nuovo Cinema Paradiso, che proponeva foto anche di Tornatore. Questa di Bagheria è la prima retrospettiva che celebra nel complesso della sua opera un artista dallo sguardo furtivo, pronto a documentare la sola realtà senza infingimenti, effetti e studio, capace di andare come fotoreporter a Chicago per testimoniare la vita degli emigrati siciliani nella città simbolo del progresso statunitense. «In mostra - dice il curatore - non ci sono foto del film, perché ho voluto fare una selezione di sessanta scatti dei circa quindicimila che costituiscono il patrimonio oggi di proprietà dei Fratelli Alinari. Il repertorio che presentiamo è un campione di tutta la sua attività e comprende foto di serie di ogni epoca, come Quando i bambini non ci guardano, Tracce, Diario di un emigrante, La sedia racconta, un viaggio alla ricerca di sedie senza persone sedute ma poste fuori casa e al sole per sostenere i prodotti caserecci appena preparati».

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