A Palermo rischia di chiudere il Museo della Subacquea, piccolo spazio oltre l’Arsenale (praticamente all’entrata dei Cantieri Navali), popolato da tute, erogatori, pinne e bombole, uno sguardo sott’acqua dove il dottore e l’operaio sono fratelli. Un museo voluto da Sebastiano Tusa e che oggi alle 17,30, nel quarto anniversario della morte dell’archeologo sub, giornata dedicata dalla Regione Siciliana ai beni culturali, lo ricorderà con video e aneddoti, presenti il figlio Andrea e la sorella Lidia. Ma è anche un museo che rischia grosso, visto che a giugno verrà sfrattato perché iniziano i lavori di restauro dell’Arsenale, già appaltati. E i soci sub chiedono un altro spazio: ingresso sempre gratuito, lavoro degli appassionati, il museo non ha bisogno di finanziamenti ma di un luogo dove continuare a esistere. Il Museo della Subacquea nasce formalmente nel 2012, ma Franco Genchi e Sebastiano Tusa si conoscono da piccini, visto che le famiglie gravitavano all’Olivella. I bambini crescono, Genchi lavora nel campo delle attrezzature sportive, Tusa segue le orme del padre Vincenzo e diventa archeologo. Ama il mare dalle estati a Selinunte, ma si inizierà ad immergere solo più tardi, comprendendo subito che gli escamotage del padre – che tirò dalla sua parte molti tombaroli, riuscendo a scardinare il sistema dei furti di reperti – possono funzionare anche in mare. E molti ritrovamenti di sommozzatori sportivi che sarebbero finiti in mani non sicure, finiscono nei musei. È il 2012, Franco e Sebastiano capiscono che i subacquei siciliani vorrebbero mettere a disposizione i materiali d’epoca: attrezzature degli anni ’50, le prime tute da sommozzatori, respiratori ad ossigeno, erogatori (il primo ad uso civile fu inventato da Cousteau) bombole ad aria compressa, le prime maschere e le primissime pinne degli anni ’30; le macchine fotografiche da sub, gli scarponi pesantissimi dei palombari, persino le licenze del dopoguerra e un Rov (il robottino a comando remoto)… insomma, un mondo intero. L’accordo è fatto, da soprintendente del mare Tusa (con l’aiuto di Alessandra De Caro) nel 2016 affida ai subacquei – che si riuniscono nell’associazione Amici della Soprintendenza del mare - lo spazio dell’Arsenale, «fino a quando non sarebbero iniziati i lavori di restauro». Si tratta dell’ex cappella del palazzo, con tanto di botola sotterranea che porta alle cisterne colme d’acqua. «Lo spazio era talmente pieno di materiali e immondizia che ci sono voluti 12 camion in discarica – racconta Genchi – poi l’abbiamo ripulito, intonacato, costruito il pavimento, le scaffalature, l’impianto elettrico e di sicurezza. E sono cominciati ad arrivare i materiali e le donazioni». I pezzi sono migliaia, tutti catalogati e sistemati, i sub, di solito gelosissimi, hanno messo i loro tesori a disposizione della comunità. Qui arrivano spesso le scuole – e i ragazzini possono perfino indossare un’antica tuta da sommozzatore -, il pubblico solo se c’è qualche manifestazione: non è uno spazio molto conosciuto, ma non per questo deve scomparire.