Palermo

Domenica 24 Novembre 2024

Da Edipo a Clitennestra ad Aiace: l'intenso programma dei Teatri di Pietra

Edipo a Colono
Edipo a Colono
Edipo a Colono
Edipo a Colono
Edipo a Colono
Edipo a Colono

Fine settimana intenso per i Teatri di Pietra. Stasera, giovedì 11 agosto, Edipo a Colono nell’Area Archeologica Eraclea Minoa di Cattolica Eraclea e Clitennestra Vs Ifigenia al Parco Archeologico Lilibeo Baglio Tamburello di Marsala. Venerdì 12: Edipo a Colono al Teatro Antico Akrai di Palazzolo Acreide, Clitennestra Vs Ifigenia al Parco Archeologico Palmintelli di Caltanissetta e Aiace nel Complesso monumentale Castello Ex Convento Benedettine di Milazzo. Sabato 13 agosto Aiace nell’Area archeologica Monte Jato di San Cipirello.  Tutti gli spettacoli avranno inizio alle 21, biglietto 12 euro.

Edipo a Colono

Teatro Hamlet – CTM, di Sofocle, traduzione e adattamento di Gina Merulla, regia di Gina Merulla, con Mamadou Dioume e sei attori. Edipo a Colono è la tragedia della fine. Edipo ormai vecchio e cieco giunge alla fine del suo viaggio: distrutto dalla Vita, dal Destino, dagli Dei vaga come un mendicante alla disperata ricerca di un Senso. Questa è la premessa su cui si basa l’intero spettacolo. Edipo non è nient’altro che lo specchio dell’essere umano e ne riflette la natura profonda. Le vicende che vive il nostro protagonista non hanno più significato nella loro dimensione individuale e privata ma devono essere restituite al pubblico nella loro dimensione universale e umana. Edipo è dunque «tutti gli uomini»: la sua storia, le sue azioni, le estreme conseguenze e l’epilogo della sua vicenda riflettono la storia interiore di tutti noi. La natura oscura, predatoria e violenta dell’Uomo ci dà la misura della sua umanità rendendolo un «colpevole senza colpa» e condannandolo al dolore, alla perpetua ricerca dell’espiazione e alla malinconica accettazione della tardiva scoperta di sé. Da ciò scaturiscono dolorose riflessioni sulla vita, sulla morte, sulla vecchiaia, sulla cecità, sulla caduta, sulla salvezza. Il pubblico è chiamato ad affrontare un viaggio nell’essere umano accanto a Edipo, dal suo arrivo a Colono fino alla sua discesa negli inferi. Anche lo spettatore si ritroverà «straniero in terra straniera», incarnazione di una «creatura mostruosa» che chiede di essere accolta, personificazione del «diverso» che desidera solo accettazione, immagine dell’Essere Umano che cerca la salvezza tanto esteriore quanto interiore. La regia di Gina Merulla parte dal teatro di ricerca per rivisitare e trasformare un classico senza tempo per mezzo di differenti linguaggi artistici e nuovi codici espressivi derivati dalla contaminazione di teatro, musica, danza e arti visive. Gli attori e performers daranno vita allo spettacolo attraverso le meravigliose parole del tragediografo greco e Partiture Fisiche su Musica o Silenzio. Lo spettacolo è arricchito dall’eccezionale presenza di Mamadou Dioume, grande artista internazionale già attore e collaboratore di Peter Brook, fra gli interpreti del capolavoro brookiano Mahabharata e di The Tempest di Julie Taymor con Helen Mirren.

Clitennestra Vs Ifigenia

Da Yourcenar, Euripide, Racine, adattamento e regia Manuel Giliberti, musiche Antonio di Pofi, movimenti Serena Cartia, con Simonetta Cartia e Laura Ingiulla. Il re di Argo, Agamennone, potente e tracotante capo dei greci nella guerra di Troia, giace riverso a terra accanto alla vasca da bagno. Vicino a lui il corpo martoriato di Cassandra, la sacerdotessa figlia del re troiano Priamo, ormai schiava e concubina del generale. Sono appena tornati ad Argo dalla città sconfitta e, dopo gli onori rituali, hanno trovato subito la morte. Davanti alle salme coperte da un lenzuolo, la moglie di Agamennone, Clitennestra feroce, con la scure insanguinata tra le mani si rivolge ai vecchi argivi con queste parole: «.... il mio cuore non trema [...] O lode o biasimo è lo stesso per me. Sì, questo è Agamennone, mio sposo; per questa mia mano è qui cadavere; e fu giustizia. Così è». È questa la scena che consegna la figura di Clitennestra alla sua iconografia più conosciuta; Motore della vicenda è Clitennestra, figlia di Tindaro di Sparta e di Leda, sorella di Elena di Troia e madre d’Ifigenia, Elettra, Crisotemi e Oreste. Sulla sua figura hanno ragionato e scritto autori fondamentali da Omero a Hofmannstahl. Clitennestra affascina per il suo essere ambigua e spietata, calcolatrice e falsa, lasciva e funesta e nel tempo, si è ammantata di significati diversi: figura di madre vendicatrice e amorevole o moglie traditrice e adultera? Cosa svela dei tempi antichi e dei moderni? Si delineano così la riflessione su vendetta e giustizia, da un lato, e la rappresentazione della donna, dall’altro. Dopo aver ucciso il marito, Clitennestra afferma: «E fu giustizia». La giustizia, incoraggiata dagli dei, si è compiuta grazie a lei, eppure quella giustizia di cui parla non sembra forse corrispondere più a una vendetta personale o familiare? Clitennestra riconosce ad Agamennone una colpa tremenda: aver ucciso la figlia Ifigenia, chiamata ad Aulide con un pretesto e lì sacrificata sull’altare di Artemide, precedentemente offesa dal re, in modo che la flotta greca potesse salpare tranquilla alla volta di Troia. Dieci anni più tardi, Clitennestra non si dà ancora pace e, dopo essersi legata al cugino di Agamennone, Egisto, ordisce la trappola mortale. Il testo Clitennestra versus Ifigenia ripercorre questa storia come alla ricerca della radice più profonda di questa saga familiare fatta di sangue e vendetta. Clitennestra parla e agisce con Ifigenia che è però un fantasma perché in realtà tutto si è già compiuto. Ma la madre rivive il rapporto con la figlia e in una sorta di transfer psicoanalitico ricerca sé stessa e le sue ragioni o meglio le sue motivazioni. Avviene così che nella contemporaneità Clitennestra si colori di sfumature e caratteri che non sempre le sono stati riconosciuti divenendo non più solamente cagna, vipera, infida, ambigua, bensì una donna coraggiosa, affranta e turbata, di cui bisogna comunque cogliere le sfumature senza pregiudizi e senza misoginia. Solo così diviene possibile esprimere un verdetto equanime. Attingendo a molte fonti dalle più antiche alle più contemporanee Clitennestra vs Ifigenia diviene così la ricerca di un giudizio sul personaggio e di una più ampia visione di una storia che è in fondo la ricerca di una giustificazione morale alla violenza.

Aiace

di Ritsos, con Viola Graziosi, regia Graziano Piazza. La storia dell’eroe greco attraverso la voce di una donna. Una donna, forse una proiezione, un miraggio, e un uomo, Aiace, evocato attraverso la voce di lei, ripercorrono insieme la storia dell’eroe greco, il più valoroso dopo Achille. Pieno di dolore per non essersi aggiudicato le armi di Achille dopo la sua morte, accecato da Atena, Aiace fa strage di greggi, credendo di vendicarsi sugli Achei, ma, tornato in sé, non riesce a sopravvivere alla vergogna. Dai fasti delle vittorie fino al grottesco tragico epilogo, la donna riveste i panni dell’eroe attraverso le sue parole e le sue folle azioni, fino ad assumerne quasi le sembianze. Non più moglie e madre e amante, muta e impotente, ma eroina dei nostri giorni. L’Aiace di Ritsos, scritto tra il 1967 e il 1969, è una rilettura della tragedia di Sofocle attraverso la quale il poeta, considerato tra i più grandi del 900, offre una visione lucida e cruda della sua contemporaneità umana e politica. «Nel mettere in scena oggi questo testo – spiega il regista – ho voluto capovolgere le parti per interrogare il lato femminile, sensibile dell’eroe, quella voce muta che finalmente arriva al centro della scena e prende parte alla battaglia del vivere. L’Aiace di Ritsos è un eroe per forza, umiliato dall’impotenza della ‘normalità’, di ciò che gli altri gli impongono di essere. Un Uomo che combatte le sue vicende quotidiane, teso verso un percorso mitico, ma a cui il destino fa compiere azioni ridicole e che, infine, scopre la liberazione di perdere ogni cosa. Dramma interiore di quanto al di là del genere il mito ci abita, ci muove, ci sorprende nelle piccole pieghe quotidiane della nostra esistenza contemporanea, ci permea di grandezza e di impotenza nello stesso tempo».

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