PALERMO. Se ti ritrovi a «passeggiare» tra la Milano e la New York di Mario De Biasi, la Venezia di Gianni Berengo Gardin, le città dell'Est di Antonio Sansone, se il capoluogo lombardo lo scopri anche attraverso l' «inabitabilità del cemento» di Carla Cerati, comprendi facilmente che la rappresentazione fotografica di una città concorre alla lettura critica delle profonde trasformazioni dello spazio urbano prodotte nel Novecento. Sono le foto, la forza spudorata delle atmosfere, la bellezza delle luci a cogliere il respiro, ora quieto ora agitato, di una città come dimostra la mostra Immagini di città con fotografie di Mario De Biasi, Gianni Berengo Gardin, Carla Cerati, Toni Del Tin, Antonio Sansone, Vittorugo Contino, Olivo Barbieri, Francesco Jodice, che si inaugura oggi (ore 18) alla Galleria Studio Paolo Morello (fino al 28 febbraio, visite su appuntamento). Da questo giro Palermo è esclusa. Sarà un caso di omertà (anche) dello sguardo, della visione? Commenta Morello: «La città del sacco ha evitato di farsi rappresentare, perché se racconti lo spazio di una città a parole puoi più facilmente omettere ciò che non deve essere detto, mentre se la rappresenti in fotografia è più difficile. C'è una pianificazione sofferta, c'è una città scompensatissima tra centro e periferia, c'è una evidente mancanza di lungimiranza perché certi quartieri non sono stati realizzati in funzione di un avvenire ma di una speculazione contingente: tutto questo non ha mai prodotto il bisogno di una rappresentazione, anzi ha maturato l'esigenza di una esclusione». Morello parte da questa premessa: «Il dibattito sulla città è riesploso in questi ultimi anni, con funzioni e forme radicalmente diverse rispetto al passato. La città non è più il luogo del negotium, non si offre più come alternativa agli otia della vita in campagna, di cui più nessuno parla. La città contemporanea è il luogo di una deflagrazione, il teatro in cui esplodono tutte le tensioni - politiche, sociali ed economiche - di un presente e di un futuro volutamente assai mal governati». Un universo caratterizzato dalla complessità e dalla pluridisciplinarietà con cui è necessario guardare a questo artificio creato dall'uomo, la città, appunto: «La rappresentazione del paesaggio urbano costituisce uno dei filoni in cui la fotografia italiana ha offerto un contributo decisivo alla storia della fotografia mondiale. Da questo dialogo, tra fotografia, architettura e pianificazione, Palermo ha preferito restare, e tutt'ora rimane, esclusa, per ragioni che non sfuggono neppure al più ingenuo degli osservatori». Non è andata così in altre parti d'Italia, dagli anni Settanta in avanti, proprio nella fotografia d'architettura: da Luigi Ghirri, a Olivo Barbieri, a Gabriele Basilico, a Luca Campigotto, hanno fatto cose egregie e avuto importanti riconoscimenti internazionali. «Non esiste città importante in Italia che non sia stata oggetto di una campagna pensata. Torino, Milano, Firenze Roma si sono lasciate immortalare da tanti, la via Emilia è stata oggetto di studi infiniti, tutta la costa romagnola, Marghera. In molti casi sono state le stesse amministrazioni comunali a sollecitare progetti del genere, chiamando fotografi importanti, assegnando a ognuno una fetta di territorio, lasciandogli, più o meno liberamente, interpretare ciò che vedevano. Sono state rappresentate anche Catania, Siracusa, Trapani, Palermo è un'eccezione. Se si esclude il modesto contributo di Gabriele Basilico del 1998, negli ultimi settant'anni Palermo non è stata oggetto di campagne fotografiche degne di questo nome». Delle varie fasi del taglio della via Roma di fine Ottocento rimane l'imponente campagna del Giannone e della città di primo Novecento, con le sue fastose architetture liberty, resta un'ampia documentazione fotografica: «Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi Palermo ha accuratamente evitato di raccontarsi per immagini. Una giustificazione, neppure tanto credibile, è che una rappresentazione costante del fatto di mafia, abbia in qualche modo fatto da surrogato: ma si tratta di due registri completamente diversi. In realtà, c'è una vistosa lacuna. E in questa mostra si trovano almeno 35 modalità diverse di rappresentare una città». «Un “book” fotografico è utile dal punto di vista promozionale, turistico, culturale, ma è anche un supporto per chi deve progettare il territorio. Non è solo una ricognizione destinata a preservare la memoria, ma un lavoro di analisi e di interpretazione, un indispensabile strumento propedeutico al lavoro di progettisti e pianificatori. Se pensi a Roma ti vengono in mente almeno dieci monumenti, se pensi a Palermo, che pure ne è ricca, forse neppure uno». Forse i nomi, non le immagini: «È solo - continua Morello - una delle tante contraddizioni di questa città, che si gloria di un moderno tram ma non pensa di dotarsi di un sistema di parcheggi, che vorrebbe liberare le sue vie dall'infernaccio delle auto ma non riesce a ripulire le sue strade dall'imbarazzante pullulare di bancarelle e di posteggiatori abusivi. Perché Palermo, parafrasando Walter Benjamin, è il luogo dove “il mondo della tecnica e forme primitive d'esistenza riescono intimamente a compenetrarsi”». Allora guardiamo le altre città attraverso quaranta vintage prints in mostra. Si comincia con un capolavoro dei primi anni Cinquanta, Il quartiere dell'Ortica di Mario De Biasi: una futurista «città che sale», con i palazzi in costruzione, il treno che l'attraversa sbuffando e un carretto e un cavallo al pascolo, emblemi di una periferia sul punto d'esser fagocitata per sempre entro il perimetro urbano. Le vedute notturne e nebbiose dei Navigli e del Duomo dall'alto fanno da premessa alle atmosfere grigie della Milano di Carla Cerati: vedute potenti, col grigio dell'argento in cui s'incarna il cemento, bruto, grezzo, freddo. Sospese ed estranianti sono le città dell'Est Europa, ritratte da Antonio Sansone, medico vicino al Pci, cui fa eco il brulicare di gente per le strade di Istanbul e di Tirana. Coeve, le strade di New York, affollatissime e fitte di palazzi, di finestre, di auto, di pozzanghere: nella Grande Mela ci trascina Mario De Biasi: una delle foto sembra un frame tratto da Manhattan, vecchio film del vecchio Woody; un'altra è una strepitosa «duplicazione» di uno scorcio di città, la geometria dei grattacieli è evidente in un'altra ancora, come l'influenza dei fotografi di Life: «De Biasi mi ha sempre ripetuto - ricorda Morello - che per far diventare i grattacieli ancora più alti bisogna tagliare il cielo». Un'altra dimensione da preservare è quella legata ai centri storici: le stampe del Matrimonio a Burano di Toni del Tin o quelle fiabesche di Venezia di Gianni Berengo Gardin: «Il passaggio è dalla rappresentazione neorealista di uno spazio all'interno del quale si fa un certo tipo di vita, a uno spazio che è ancora realista ma più lirico e poetico, fino a uno spazio totalmente astratto». Una sezione della mostra offre una piccola scelta dei Cronotopi di Vittorugo Contino, realizzati tra il 1969 e il 1972 per due campagne mondiali di Alitalia: la prima dedicata ai luoghi del grand tour settecentesco, da Pisa ai Templi di Agrigento, la seconda alle grandi capitali europee e americane. Una parete occupano le tre preziose opere di Olivo Barbieri, che negli anni Ottanta realizzo una serie di vedute notturne dai colori alterati che hanno la loro matrice nella pittura rinascimentale prospettica: qui quelle dedicate al Battistero di Parma, alla Piramide di Caio Cestio a Roma e a Shanghai.