Va in scena in «prima» (repliche fino al 23 dicembre) stasera alle 20,30 al Teatro Massimo «Romeo e Giulietta» con la musica di Prokofief, coreografia, luci e regia di Massimo Moricone.Sul podio dell' Orchestra del Teatro Massimo Alexander Polyanichko. Progetto scenico di Peter Janku, costumi di Luca Dall'Alpi. Ne sono interpreti: Letizia Giuliani nel ruolo di Giulietta; Alessandro Riga in quello di Romeo; Orazio Di Bella è Mercuzio; Amilcar Moret Gonzáles è Tebaldo; Giacomo Castellana è Paride; Manuel Barzon è Benvolio. «Romeo e Giulietta» per Massimo Moricone: un' immagine diversa della protagonista? «La più shakespeariana. Il monito che deriva da questa vicenda è anzitutto che quanto accade è conseguenza del non ascoltare i giovani. L'altro elemento che emerge è che Giulietta in due giorni da bambina diventa un gigante. Arrivare a decidere di fingere la morte significa essere adulti, coerenti, determinati». Una grande tragica storia di sentimenti per i due protagonisti. «Poi ci sono i personaggi da commedia, la nutrice, Mercuzio, gli stessi genitori di Giulietta. Mercuzio è il teatro». La statura della protagonista equivale a quella del suo giovane innamorato? «Romeo è belloccio. Tenta in tutti i modi di allontanare la violenza ma il destino vuole che proprio lui uccida colui che sarebbe diventato suo cugino. Reagisce così per disperazione non perché ne sia convinto. Direi che si tratta di un personaggio romantico». Amore, odio, morte... «Sono i capisaldi anche di tante altre storie. All'interno del clima di avversità che grava sulla storia d'amore di Giulietta e Romeo ci sono due persone che tentano di annullare queste avversità. Alla fine l'amore è più forte e vince su tutto». Attraverso Giulietta si può cogliere una visione pessimistica della realtà di oggi? «Io mi sono limitato a mettere in scena quanto più fedelmente Shakespeare». Nel delineare l'immagine femminile della protagonista quali elementi ne caratterizzano il ruolo? «Ho cercato di rendere coreograficamente il passaggio repentino di Giulietta dall'adolescenza alla donna anche in maniera violenta. È un passaggio molto interessante». A quando risale questo suo petracolo? «L' esordio è del 1991 e l'ambientazione è tutta in un contesto elisabettiano quindi spostata d'epoca rispetto al testo originale al Rinascimento inglese. A commissionare il balletto è stato allora Christopher Gable, direttore del Northern Ballet Théatre e da allora sono state innumerevoli le riprese». Un battesimo significativo? «Quando è stato fatto questo lavoro c'è stato un team che ha lavorato a rendere gli interpreti distaccati dagli stereotipi del balletto. E nel ’91 confluivano nel mio spettacolo tanti elementi, specie nel linguaggio. Nel teatro anglosassone la sinergia tra le varie forme dello spettacolo è una realtà perché gli interpreti vengono formati ai generi più diversi». Quanto cambia nel tempo lo spettacolo? «Il balletto negli ultimi trent'anni è molto cambiato». Anche la musica di Prokofief è stata rivista? «È stato fatto un lavoro sulla partitura, alcune cose sonostate prosciugate. È abbastanza veloce nei suoi tre atti». Suoi lavori più recenti? «Col Royal Ballet Il racconto di Natale di Dickens e al San Carlo Don Juan da Tirsode Molina,DaPonte, Goldoni con Luciana Savignano, un'icona con lei che scende in platea, alla fine, e qualcuno la strapazza». Testo di Sara Patera