PALERMO. Ha raccontato i mille volti della sua città dipingendo la Palermo vera. Quella dei bambini che giocano a pallone tra i vicoli del centro fatiscente, di donne che stendono i panni e ciabattini, ma anche le pagine più nere della storia dell’Isola, scandite da lacrime e sangue, stragi e omicidi. Sessant’anni di vita passati dietro a un obiettivo, da quando a soli 13 anni prese in mano la sua prima macchina fotografica con treppiede, soffietto e lastre di legno appartenuta al nonno, barone originario di Casteltermini. Il «paparazzo rosso» Gigi Petyx – così lo chiamavano da giovane per la sua capigliatura fulva – festeggia il traguardo professionale con un volume fotografico, «Palermo Petyx», curato da Laura Grimaldi e Claudia Mirto, edito da Flaccovio e con la prefazione di Dacia Maraini, che sarà presentato oggi alle 18 all’Antica Fonderia alla Cala. Uno scrigno che racchiude le immagini più significative della sua carriera di reporter, prima per il quotidiano L’Ora, poi per il Giornale di Sicilia con cui la collaborazione, tramandata poi al figlio Igor, continua tuttora. «Iniziai a fare gavetta coi calzoni corti – racconta Petyx – prima in uno studio fotografico, occupandomi di matrimoni, battesimi e ritratti di famiglie in posa, poi approdai all’atelier di Giusto Scafidi di via Ruggero Settimo, immortalando la vita quotidiana dei palermitani allo stadio, a teatro, alle feste private e a quelle in piazza». «Attraverso quel laboratorio – continua – ebbi il primo contatto con i giornali. Inizialmente mi occupavo di servizi sportivi, poi un giorno il direttore mi propose un patto: se avessi indossato i pantaloni, avrebbe puntato su di me per reportage di cronaca nera e giudiziaria». E in effetti, la strada intrapresa fu proprio quella. Dai primi servizi in provincia, come le marce e i digiuni di Danilo Dolci, alla strage di Ciaculli, prima di una lunga serie. Erano gli anni in cui la mafia si imponeva con prepotenza, anni di autobombe, corpi squarciati e fiumi di sangue. Petyx immortalò anche l’arresto di Luciano Liggio: «A Corleone, tra vecchie case, cespugli e ovili, decine di carabinieri con giubbotti antiproiettile e le prime mimetiche aspettavano da ore la sua uscita per arrestarlo – ricorda -. Io indossavo solo la mia Rolleiflex e la mia incoscienza e avanzavo verso l’obiettivo dietro le pattuglie». Alcune delle sue immagini, poi, fecero il giro del mondo, come il triplice omicidio di Corleone, la strage di Ciaculli o la caduta del DC-8 su Montagnalonga: Petyx fu il primo ad arrivare in sella a un mulo con una lanterna in mano. E fu anche l’unico a fotografare il giudice Scaglione appena ucciso, il primo di una lunga sanguinosa stagione di delitti eccellenti. Fotografò poi Ninetta Bagarella, la «mastrina di Corleone», quando entro al tribunale del 1971 insieme alla mamma. Ma lo scatto che più gli è rimasto nel cuore è un’immagine degli anni ’80, prima che nascessero i palazzoni di viale Regione Siciliana. «C’erano le «case minime» – riprende – costruzioni basse e fatiscenti dove intere famiglie vivevano con nidiate di figli senza i servizi essenziali e sotto i tetti di eternit. Spesso i più piccoli andavano a prendere l’acqua alla fontana vicina. Un giorno sorpresi una bambina che riempiva bottiglie raccolte in una bacinella di alluminio. Questo scatto, intitolato «La grande sete» diventò l’emblema della cronica mancanza di acqua a Palermo e vinse un premio speciale del concorso Agfa-Gevaert e Tribuna Stampa riservato ai giornalisti. La premiazione avvenne al Circolo della Stampa di Milano – continua - e mi consegnarono un assegno di 750 mila lire. Dichiarai che avrei preferito vincere con una foto di palermitani che sguazzano in acqua limpida e abbondante». Nel libro ci sono poi scatti rubati a personaggi del jet set: da Giorgio Gaber a Gino Paoli, fino a Gian Maria Volontè e Alba Parietti con l’allora fidanzato palermitano Giuseppe Lanza di Scalea. Ma l’elenco di nomi del mondo del cinema e dello spettacolo catturati dal suo obiettivo è lunga: Pierpaolo Pasolini, Louis Armstrong, Totò, Claudia Cardinale. Ci sono infine cartoline di una città con le sue tradizioni culinarie: la scorpacciata di ricci davanti al porticciolo di Mondello, il polpo ancora caldo servito in piatti di ceramica a due passi dal mare, il tipico cibo di strada venduto nei carretti ambulanti. Nel volume c’è spazio poi per i tanti aneddoti che hanno caratterizzato la sua carriera: la sbronza a casa del giornalista Mauro De Mauro, suo testimone di nozze, la sera prima del matrimonio, e perfino la partecipazione, nella parte di se stesso, a una pellicola cinematografica: «Ho interpretato un reporter che tentava invano di sfuggire a due energumeni che aveva fotografato durante un summit – dice – nel film «Il sasso in bocca» di Giuseppe Ferrara. Mi trovai davanti a un Lucky Luciano furioso, era convinto che lo avessi fotografato e non sentiva ragioni: cercai in tutti i modi di convincerlo del contrario per salvare il mio rullino, ma lui con un pugno ruppe la mia Rolleiflex e la calpestò poi con rabbia. Mi risarcì del danno e regalandomi dei soldi mi disse con un accento siculo-americano: «Accattetene n’autra». Non solo bianco e nero: c’è pure qualche scatto a colori degli ultimi anni, come quelli fatti in occasione dei crolli nel centro storico. Perché l’amore per la fotografia non conosce pause o momenti di stanchezza. E lui, imperterrito e con lo stessa passione di quando girava coi calzoni e la reflex in mano, non perde tuttora un corteo, una manifestazione, un processo, indossando il suo gilet e salendo sul primo autobus o camminando a passo spedito per catturare i momenti più importanti. Perché «finché avrò scarpe e vita – conclude nel libro – continuerò a fotografare. Io ci sono e ci sarò sempre là dove la città vuole e deve essere raccontata. Testo di Chiara Lizio