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Palermo, il processo ai buttafuori: sei condanne e quattro assoluzioni

Il giro di buttafuori e il controllo di mafia nelle discoteche e nei locali notturni della città e della provincia ha il suo verdetto. Sei condannati e 4 assolti dopo l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido, a dibattimento i sostituti Giorgia Spiri e Gaspare Spedale: sentenza emessa ieri poco dopo le 22 dalla seconda sezione del tribunale, presieduta da Roberto Murgia. Il dibattimento riguardava le mani asfissianti dei buttafuori imposti a partire dal 2014 e fino al 2017 sui locali conosciuti e super frequentati: dal Reloj di via Calvi al Moro dell’Arenella, dal Kioskito di Casteldaccia fino ad alcune feste a Villa La Panoramica a Baida e a Città del mare di Terrasini.

Ecco il verdetto dei giudici (a latere Elisabetta Villa e Andrea Innocenti) nel processo Octopus. Andrea Catalano 8 anni (detenuto, la richiesta dell’accusa era di condannarlo a 12 anni); Giovanni Catalano assolto per non aver commesso il fatto (era detenuto, richiesta 11 anni e 4 mesi, difeso da Salvatore Gugino e Michele Giovinco); Cosimo Calì 5 anni (richiesta 10 anni e 6 mesi); Ferdinando Davì assolto (richiesta 9 anni e 6 mesi); Antonino Ribaudo assolto (richiesta 10 anni); Gaspare Ribaudo 7 anni e 4 mesi (richiesta 10 anni e 8 mesi); Emanuele Cannata 7 anni e 6 mesi (richiesta 9 anni e 6 mesi); Francesco Fazio 8 mesi (richiesta 9 anni e 6 mesi); Emanuele Rughoo Tejo assolto (richiesta 9 anni e 6 mesi); Davide Ribaudo 1 anno (richiesta 9 anni e 6 mesi).
Nel processo gli imputati erano difesi anche dagli avvocati Giovanni Castronovo, Raffaele Bonsignore, Riccardo Bellotta, Rocco Chinnici, Ermanno Zancla, Salvo Priola, Gianluca Calafiore, Maurizio Gemelli. Il ruolo di primo piano - secondo l’accusa - lo avevano principalmente i Ribaudo e i Catalano. La ricostruzione è della Dda e dei carabinieri del Nucleo investigativo e della compagnia di Bagheria, che hanno condotto l’indagine che nel settembre del 2019 portò a undici arresti per estorsione aggravata.

Andrea Catalano, impiegato di una ditta di pulizie - per gli inquirenti aveva legami stretti con i vertici del mandamento di Porta Nuova - secondo la Procura e i carabinieri era stato delegato a gestire il business dei buttafuori. I gestori dei locali venivano minacciati, intimiditi e convinti a cedere a colpi di risse e raid violenti che venivano organizzati all’esterno delle strutture, a cedere. Finché il gestore di un locale di Bagheria, avvicinato pure lui, si è rifiutato di accettare l’offerta e ha denunciato tutto.

Diciotto udienze, 32 testi dell’accusa sentiti a dibattimento oltre agli investigatori, le dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia - Alfredo Geraci, Giovanni Vitale, Filippo Bisconti, Salvatore Lo Piparo, Sergio Flamia, Andrea Lombardo- che hanno raccontato, ognuno dal proprio osservatorio, piccoli e grandi storie legate al mondo dei locali notturni: eccoli i numeri del processo. Diversi i singoli episodi contestati agli associati al clan. Gaspare e Antonio Ribaudo, ad esempio, erano accusati di essersi imposti come buttafuori all’amministratore di una società addetta alla gestione della sicurezza del Kioskito di Casteldaccia con un corrispettivo di 10 euro a serata perché «dovevano mantenere» il figlio detenuto.

Andrea e Giovanni Catalano (con Massimo Mulè - indicato come boss di Ballarò - e Vincenzo Di Grazia, condannati in abbreviato) erano accusati di aver imposto al gestore del Reloj e al responsabile del servizio di sicurezza, la presenza di Di Grazia come buttafuori e successivamente la sua assunzione: «A me non interessa niente», era una delle frasi intercettate di Andrea Catalano, «tu mi devi mettere a Vincenzo! Chi ti resta fuori ti resta fuori...». E aggiungeva minacciosamente: «Tu hai due figli, vero? Sono la tua vita, vero?».

Giovanni e Andrea Catalano, con Cosimo Calì erano accusati di aver minacciato il gestore del Moro e di aver preteso di assumere «addetti antincendio» prospettando in caso contrario che se non fosse stato impiegato «si sarebbe assunto la responsabilità di eventuali disordini». Andrea Catalano e Cosimo Calì di aver imposto al titolare di Villa La panoramica di affidare a loro il servizio di sicurezza per la serata di Capodanno del 2017, estromettendo l’addetto già incaricato: «La guerra comunque succede... Io non è che sono Andrea Catalano che faccio minacce, io all’anno nuovo faccio la guerra», e minacciando il responsabile che o sceglieva lui o «il capodanno non se lo fa nessuno... Perché io non mi metto di lato, per me ci possiamo fare la guerra». Un altro episodio contestato dall’accusa riguarda Andrea Catalano e Ferdinando Davì, processati per avere estromesso dalla gestione della sicurezza del Capodanno 2017 a Città del mare il rappresentante di una società di vigilanza. Anche in questo caso, a colpi di minacce. Numerose ritrattazioni in aula da parte di vittime di minacce e imposizioni.

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