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L'ex compagna di Messina Denaro: «Non sono indagata e non ho preso un legale»

Risponde al telefono della torrefazione di Aspra, e con voce pacata dice: «Non ho preso un avvocato. Non ho bisogno di prendere un avvocato. Non sono indagata». Maria Mesi, la ex compagna di Matteo Messina Denaro che lunedì mattina ha subìto una perquisizione da parte dei carabinieri dei Ros, è indagata nell’inchiesta sui favoreggiatori della latitanza del capomafia stragista, non si nega al telefono, anche se precisa subito: «Non intendo rilasciare interviste». La torrefazione di via Genova ad Aspra, il borgo marinaro di Bagheria, è stato controllato dai carabinieri su input del procuratore Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Paolo Guido. La donna, la «vedova bianca» del boss, è stata arrestata nel 2000 e condannata per favoreggiamento per aver ospitato l’allora latitante Messina Denaro: la Mesi gli mise a disposizione alcuni covi dove rifugiarsi. Una scelta che le è costata una condanna a 2 anni e 4 mesi in Cassazione nel 2003, ridotta rispetto al verdetto della corte d’Appello perché, dato il suo legame sentimentale, non le venne contestata l’aggravante mafiosa. Ora la Mesi è tornata sotto i riflettori delle indagini per quelli che sarebbero i suoi rapporti «ancora attuali» con i Messina Denaro. «Lei dice che dato che ho subìto una perquisizione sarei indagata? Devo leggere bene le carte... sono satura di tutto... i giornalisti scrivono cose che prendono da un lato e dall’altro... mi secca contestare. No, non sono disponibile per un’intervista, non voglio commentare» dice ancora la Mesi. Poi l’ultima affermazione: «Che io sappia, non sono indagata. Ma non ho letto bene le carte...». Fine della conversazione. Anche il fratello Francesco ha avuto una perquisizione. I carabinieri hanno controllato da cima a fondo l’appartamento di via Milwaukee ad Aspra dove la donna vive dopo aver finito di scontare la condanna.
Le carte di identità Proseguono le indagini per risalire al modo in cui Matteo Messina Denaro si è procurato le cinque carte di identità intestate a incensurati di Campobello di Mazara, trovate nel covo di vicolo San Vito dopo il suo arresto. Potrebbero far parte di alcune carte di identità rubate in due furti messi a segno negli uffici del Comune di Trapani nel 2015 e nel 2018. I due furti, ritenuti finora realizzati nell’ambito della criminalità comune, potrebbero assumere una luce diversa: le carte di identità rubate erano tutte in bianco. E secondo i carabinieri potrebbero essere state compilate con le generalità dei 5 campobellesi e le foto di Matteo Messina Denaro. Al momento della sua cattura a pochi passi dalla casa di cura La Maddalena, dove doveva sottoporsi ad una seduta di chemioterapia, il capomafia di Castelvetrano aveva alcune sue fototessere risalenti a diversi periodi della sua vita. Nell’ultimo appartamento dove ha vissuto, inoltre, c’era anche un timbro del Comune di Campobello. Il primo furto dei documenti in bianco avvenne nella delegazione municipale di Borgo Madonna in via Giuseppe Polizzi a Trapani. I ladri entrarono in azione di notte forzando la porta d’ingresso dell’edificio e portando via anche soldi in contanti. Tre anni dopo i ladri, dopo aver disattivato l’energia elettrica di un intero isolato, entrarono negli uffici periferici di largo San Francesco di Paola e rubarono la cassaforte con mille documenti di identità e soldi. I responsabili del furto sono stati arrestati tempo dopo ma solo parte del bottino è stata recuperata.
Il Riesame per BonafedeÈ stata depositata al Tribunale del Riesame la richiesta di scarcerazione per il geometra Andrea Bonafede avanzata dai suoi legali, gli avvocati Aurelio Passanante e Rossella Angileri. Il geometra è stato arrestato lunedì 23 per associazione mafiosa: aver ceduto la propria identità e i relativi documenti a Messina Denaro, avergli comprato l’appartamento di vicolo San Vito, le due auto, sono per l’accusa molto di più di un «semplice» favoreggiamento.

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