Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Il blitz di Misilmeri: i membri del clan parlavano anche a gesti per evitare le intercettazioni

Cosimo Michele Sciarabba
Alessandro Ravesi
Misilmeri in un fermo immagine del video diffuso dai carabinieri
I carabinieri nel corso dell’indagine

Cosa nostra in stato di morte apparente esce dal coma indotto e riprende a camminare spedita alla conquista delle vecchie abitudini: chiedere il pizzo, imporsi su nuovi settori, fare da mediatrice nelle controversie tra privati in alternativa allo Stato. E ricompattare gli stessi sodali rimasti spaesati ad attendere il ritorno di qualcuno al posto di comando. Il mandamento di Misilmeri - Belmonte Mezzagno era riuscito a fare germogliare il seme del potere sotto la cenere lasciata dai blitz e dagli arresti, passati come bulldozer di anno in anno, senza tregua, sui quei territori di atavica appartenenza mafiosa. La tentata costituzione della Nuova Cupola, abortita sul nascere, poco ha cambiato negli assetti di vassallaggio tra i due centri della provincia, ancora in mano agli uomini d’onore che, nonostante entrino ed escano dal carcere in moto perpetuo e con lunghe assenze, non perdono il controllo «della catena di montaggio del crimine», come la definisce uno degli indagati, soddisfatto: il funzionamento degli ingranaggi resta ben oleato, pure nel tempo di vacatio. È il quadro emerso dall’operazione Fenice, messa a segno dai carabinieri, coordinati dalla Dda, che ha portato in carcere sei fra boss e gregari. Volti noti, tornati in libertà e subito in auge. Al vertice, secondo i magistrati, ci sarebbe Cosimo Michele Sciarabba, 43 anni, ritenuto il nuovo capofamiglia di Misilmeri e figlio dell’anziano boss Salvatore. Al suo fianco, il presunto braccio destro, Alessandro Ravesi, 45 anni. Nell’ordinanza, firmata dal gip Antonella Consiglio, figurano anche Salvatore Baiamonte, 50 anni, Benedetto Badalamenti, 50 anni, Giusto Giordano, 55 anni, e Giovanni Ippolito, 55 anni. È il sesto blitz in 14 anni contro il mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno, l’unico territorio dell’hinterland dove negli ultimi anni si sono verificati tre omicidi e due tentati omicidi di mafia. Le indagini sono iniziate nel 2008 con l’operazione Perseo contro i clan di Belmonte Mezzagno e Misilmeri e sono proseguite con le operazioni Sisma (2009 e 2011), Jafar e Jafar 2 (2015), Cupola 2.0 (2018 e 2019) e Limes (2022).

Per la vita e... dopo la morte

Per il gip, le intercettazioni all'interno del bar di via Rocco Jemma, vicino alla stazione centrale di Palermo,  danno contezza della intera gestione dei servizi di trasporto malati con le ambulanze e della collegata gestione delle onoranze funebri negli ospedali Civico e Policlinico come appannaggio totale di Cosa nostra e particolarmente della famiglia D'Ambrogio di Porta Nuova. «Emerge che su tutti il consigliere, il moderatore, colui che è chiamato a dare le giuste direttive per il pacifico svolgimento degli affari è Michele Sciarabba - si legge nell’ordinanza - cugino per parte materna dei D’Ambrogio, storica famiglia di Cosa nostra. È stupefacente come ancora oggi, attraverso diverse società neanche troppo schermate, i servizi essenziali per la collettività siano ancora saldamente in mano alla mafia». Le intercettazioni danno un quadro allarmante sulle infiltrazioni della criminalità nella gestione dei trasporti sanitari. Sciarabba dirige l’orchestra delle circa 10 cooperative di soccorso che si spartiscono il traffico dagli ospedali: dai malati di Covid, ai dializzati («Quelli te li fai tu», dice ad un parente) ai morti che devono essere portati nei cimiteri. Tutti devono spartirsi la fetta di clienti, senza litigare. Cosa non sempre facile. «Giriamo tutti i paesi, gio... Perché li abbiamo tutti noi fino a Reggio Calabria l'abbiamo tutti... Forse non ci siamo capiti», rassicura il boss. Pompe funebri, altro capitolo di grande interesse. Non solo ospedali, ma anche nelle cliniche private va regolamentato il movimento delle ditte con precise modalità di spartizione delle strutture sanitarie tra le varie agenzie «in un'ottica di esclusività in monopolio». E quando subentrava una nuova realtà, scattava l’allerta. Sciarabba: «Sono ragazzi che lavorano alla siciliana e gli ho detto che gli voglio bene, ma di ricordarsi che io lavoro in clinica Noto, in clinica Zancla... al Policlinico butto sangue da 30 anni e non rubo il pane ad altri».

Pizzo per tutti

Pagare e solo a loro. Se si presentavano altri «messi a ghiaccio» (fuori dai giochi), come avvenuto per esempio in un’azienda avicola, cavoli loro. Erano abusivi, non autorizzati, quindi il versamento andava rifatto. L’imposizione a ditte e commercianti dell’area era a macchia d’olio. Dall’imprenditore del settore edile, impegnato nella realizzazione di un grosso impianto di rifornimento di carburanti, a quello che gestiva la grande distribuzione alimentare attraverso i supermercati. Trovando in alcuni casi un muro davanti alle richieste estorsive, tanto da rivedere o interrompere le visite degli emissari della cosca. Emblematico l’incontro «senza voce», ma a segni, tra Ravesi e Badalamenti, comprensibile poi solo grazie alla decriptazione del movimento labiale avvenuto tra i due da parte di un militare che conosceva la lingua dei sordomuti.

Il regalo per la festa

È una questione di rispetto. Anche gli imprenditori che avevano una sudditanza rispetto al capomafia non potevano mancare in occasioni di festa. Per questo Giordano infila in una busta 1.500 euro come regalo di comunione per la figlia di Sciarabba. Ben poca cosa in realtà, assieme a un nipote i due pensano di coprire tutte le spese di quel ricevimento. Ma alla fine riflettono che era altamente probabile che «in qualsivoglia luogo Sciarabba avesse scelto di festeggiare non lo avrebbero certo fatto pagare....».  

leggi l'articolo completo