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Palermo, sei condannati al processo di mafia Cupola 2.0: a Merendino di Misilmeri 18 anni

Avevano scelto l’ordinario, rinunciando all’abbreviato e l’hanno pagata cara, sotto il profilo processuale: tutti condannati a pene pesanti gregari e boss del processo Cupola 2.0 che non hanno fruito degli sconti previsti dal rito alternativo. Oltre 60 gli anni di carcere inflitti dalla quinta sezione del Tribunale, che ha accolto le tesi del pool coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Guido (e prima di lui da Salvatore De Luca, oggi capo della Dda di Caltanissetta) e rappresentato, fra gli altri, dai pm Amelia Luise, oggi alla Procura europea, Dario Scaletta, Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli.

Il collegio presieduto da Salvatore Fausto Flaccovio ha ritenuto che Pietro Merendino avesse solo compiuto un tentativo di estorsione, assieme alla partecipazione all’associazione mafiosa, nella famiglia di Misilmeri: ha avuto 18 anni. A Stefano Polizzi è stata tolta l’aggravante del reimpiego dei proventi dell’attività criminale di Cosa nostra: 17 anni; anche per Francesco Antonino Fumuso l’aggravante del reimpiego non c’è: 12 anni e 6 mesi. Il costruttore Pietro Lo Sicco. già condannato in passato, ha avuto il concorso esterno: 10 anni. Poi le condanne minori: Simone La Barbera 3 anni e otto mesi, Giusto Amodeo 3 anni e 4 mesi. Saranno risarcite le parti civili, tra cui dieci vittime delle estorsioni e poi le associazioni che le avevano assistite, come Addiopizzo, poi Sos Impresa, Solidaria, Confcommercio, Sicindustria, Centro studi Pio La Torre, Confartigianato. Risarcimenti anche per i Comuni di Misilmeri e Villabate, anch’essi costituiti parte civile.

Nel dicembre 2018, esattamente a dieci anni dalla prima operazione Cupola, i carabinieri avevano eseguito Cupola 2.0. Nell’uno e nell’altro caso era stato sventato il tentativo dei boss di ricostituire la Commissione provinciale di Cosa nostra. Nel 2008, oltre che per merito dell’indagine della Dda, l’intento era naufragato per gli scontri interni e per il rifiuto di molti di loro di nominare un nuovo capo mentre Totò Riina era detenuto; nel 2018 invece la decisione era stata presa a pochi mesi dalla morte del capo indiscusso, avvenuta il 17 novembre 2017. Il nuovo leader era stato individuato nel boss di Pagliarelli, Settimo Mineo. Era stata ricostruita - ma non intercettata - una riunione tenuta il 29 maggio 2018 in un baglio che gli stessi partecipanti, poi pentiti, non erano riusciti a individuare. Oltre a Mineo c’erano i capi di Ciaculli, Leandro Greco (nipote di Michele, il Papa), di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni, di Tommaso Natale, Calogero Lo Piccolo, e Francesco Colletti, capoclan di Villabate, divenuto collaboratore di giustizia così come Filippo Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno, che però al vertice non era andato.
Nel processo in abbreviato, a dicembre 2020, era arrivata un’altra mazzata: oltre 4 secoli di carcere, 46 condanne e 9 assoluzioni.

 

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