Mafia a Palermo, i verbali del pentito Bisconti: "I ragazzini vicino al clan parlano troppo"
C'era gente troppo loquace, anche in una famiglia di spessore mafioso come i Pullarà. Parlava molto Santino, 39 anni, figlio di Ignazio, boss ergastolano di Santa Maria di Gesù. Il silenzio non era la specialità neanche di un imprenditore considerato vicino a Jimmy Celesia, uomo d'onore di Brancaccio: Gaspare La Mantia, 44 anni, sarebbe stato proprio «una persona molto facile e credo che le cose le raccontava molto facilmente». Era spavaldo Gregorio Ribaudo, che minacciava persino lo stesso Filippo Salvatore Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno, che a sua volta ha deciso di parlare e per questo si è «fatto pentito», dopo il blitz Cupola 2.0 del 4 dicembre. È lui, Bisconti, a rimettere insieme alcuni dei pezzi del processo Brasca, contro i mafiosi di Santa Maria, a giudizio in abbreviato e in secondo grado, dopo le pesanti condanne inflitte dal Gup Maria Cristina Sala il 9 gennaio dell'anno scorso. I suoi verbali, raccolti dal pm Dario Scaletta, sono stati depositati dal pg Carlo Marzella, davanti alla seconda sezione della Corte d'appello, presieduta da Fabio Marino. Per la sua prima deposizione in aula ci vorrà una trasferta romana, per motivi di sicurezza. Bisconti, che faceva parte del nuovo vertice mafioso, ha conoscenze risalenti e profonde di Cosa nostra. Per questo non si fa scrupolo di esprimere il disagio provato da Pietro Lo Sicco, «rimproverato» da La Mantia e da Santi Pullarà, entrambi molto più giovani di lui. E se il secondo aveva comunque un alto lignaggio familiare, l'altro non rappresentava nessuno: «“Ora ne parlerò, anziché parlarne solo con questo ragazzino...”, perché lo chiamava ragazzino, “anziché parlarne con lui ne parlerò con qualcuno più grande”». La questione ruotava attorno alla compravendita di un immobile: «Praticamente c'era una persona che ha comprato, credo a Piazza Leoni se non ricordo male, e mi pare che Lo Sicco avesse fatto il mutuo, poi non lo ha più pagato, mentre l'acquirente aveva pagato la casa per contanti. C'è andato Santi Pullarà, Lo Sicco me lo ha raccontato...». Ma si era mosso anche La Mantia, condannato a due anni in primo grado - così come chiesto dai pm - e ora al centro di nuove dichiarazioni di Bisconti: «Era un altro prestanome di Santi Pullarà, che aveva un'attività di commercio di materiale edile, elettrico in via Giafar, dove Santi Pullarà tutti i giorni, ritualmente, regolarmente e metodicamente si recava». Il figlio di Ignazio Pullarà sarebbe stato, a dire dell'imprenditore, «“il mio punto di riferimento come uomo d'onore della famiglia”... non mi è stato mai presentato come uomo d'onore». Spesso «raccontava: “No, cu chiddu c'è parrari iu, cu chiddu... no ccà a fornitura ci l'è fari… no qua la fornitura gliela devo fare io”, cercava di imporsi nelle forniture per la rivendita di laterizi, materiale edile. Lui stesso mi raccontava la vicenda che aveva con gli Adelfio e si voleva imporre nei loro confronti tramite Santi... parole sue sono queste, per la riscossione di un grosso credito per la fornitura di materiale per la costruzione del Bingo». LA VERSIONE INTEGRALE NELL'EDIZIONE DIGITALE DEL GIORNALE DI SICILIA