PALERMO. La sentenza regge in pieno, ma le pene vengono ridotte, nel processo Horus 2, su un vasto giro di spaccio e di commercio di stupefacenti alla Zisa. Poco più di un secolo di carcere, era stato inflitto in primo grado ai diciannove imputati, nonostante il rito abbreviato: ora la terza sezione della Corte d’appello ha applicato degli sconti, ridimensionando il totale degli anni di detenzione, passato a circa ottanta anni. Senza la riduzione di un terzo si andrebbe comunque oltre il secolo. Per i difensori comunque rimane solo il ricorso in Cassazione. Il processo Horus, diviso in più tronconi, era partito da un’operazione dei carabinieri, coordinati dal pm Siro De Flammineis, con cui era stata individuata la rete di spacciatori della Zisa: poiché molti dei coinvolti erano già stati implicati in altre vicende analoghe o nei precedenti capitoli dell’indagine, il Gup Lorenzo Matassa aveva applicato la dichiarazione di delinquenza abituale, applicando pure misure di sicurezza a pena espiata. La sentenza di secondo grado è del collegio presieduto da Angelo Pellino, consigliere relatore Mario Conte, che non ha assolto nessuno e dunque l’unico scagionato - contro il quale non c’era stato appello del pm - rimane solo Giovan Battista Cardinale, uscito dal processo davanti al Gup. Ecco le condanne, così come «riformate» dalla Corte d’appello. Domenico Bertolino ha avuto 3 anni e 4 mesi, esattamente un anno in meno rispetto alla sentenza del Gup; Giuseppe Buccafusco 3 anni, 7 mesi e 10 giorni (4 anni e 6 mesi); Gianluca Cascino 2 anni, 11 mesi e 16 giorni (alcuni mesi in meno); Antonio Catalano 5 anni e 11 mesi (un mese in meno); Natale Catalano 6 anni e 8 mesi (8 anni); Damiano Gargano 3 anni (uno in meno); Alessandro Genuardi2 anni, 2 mesi e 20 giorni (2 anni e 8 mesi); Luca Giardina 6 anni (erano stati 8 davanti al Gup); Gianluca Giordano3 anni, 11 mesi e 20 giorni (aveva avuto 4 anni); Nazareno Davide La Corte un anno, 8 mesi e 20 giorni (anche qui la riduzione è minima); Umberto Machì 6 anni e 8 mesi (8 anni). A Pietro Messina è stata riconosciuta la continuazione con due precedenti sentenze per fatti analoghi (del 7 luglio e del 5 novembre 2015) e così da 4 anni e 6 mesi è passato a 5 anni e 4 mesi. L’aumento è però solo apparente, perché le pene si sommano tra di loro e dunque in realtà c’è stato uno sconto. Salvatore Messina ha poi avuto 3 anni e 4 mesi, contro i 4 anni del primo grado; Claudio Missaghi scende da 8 anni a 7 e 8 mesi; Raimondo Pedalino da 6 anni a 4 anni, 10 mesi e 20 giorni; Alessio Scafidi è stato condannato a 7 anni e 4 mesi (ne aveva avuti 8); Benedetto Scafidi si vede ridurre la pena di alcune settimane, passando da 4 anni e 8 mesi a 4 anni, 5 mesi e 10 giorni. Infine Antonino Stassi 4 anni e 8 mesi (6 anni e 6 mesi) e Laura Tarallo 3 anni, 10 mesi e 20 giorni (6 anni). Per Cascino, Giardina, Natale Catalano, Gargano, Genuardi, Machì, Pedalino, Scafidi, Antonio Catalano e Missaghi, dichiarati delinquenti abituali dal Gup, la misura di sicurezza di due anni di casa di lavoro è stata sostituita con la libertà controllata per un anno. Secondo i carabinieri lo spaccio rendeva oltre duemila euro al giorno e i clienti abituali identificati erano stati 22, tutti segnalati alla Prefettura. Nelle varie fasi di Horus erano stati anche arrestati 13 spacciatori, che erano i terminali di un’attività di detenzione e commercio di droghe pesanti, eroina e cocaina, gestite da un clan capeggiato da Antonino Stassi e Claudio Missaghi. Un’altra banda era specializzata invece nelle sostanze più leggere, come l’hashish e la marijuana: se ne occupavano Luca Giardina e Umberto Machì, entrambi già arrestati nel gennaio 2014, quando ci fu la prima parte di Horus. Decine le «sentinelle» che, girando in scooter, controllavano il territorio, segnalando tempestivamente i potenziali pericoli, rappresentati da investigatori e uomini delle forze dell’ordine: lo smercio di droga avveniva infatti praticamente alla luce del sole, anche attraverso i panieri della spesa.