TERMINI IMERESE. Tornano in carcere o ai domiciliari dieci persone coinvolte nell'operazione «Black Cat», condotta dai carabinieri un anno fa e che allora aveva portato in cella 38 persone. I dieci indagati - arrestati ieri dai militari di Termini Imerese - sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa ed estorsione aggravata: avevano fatto ricorso contro la prima misura cautelare e ottenuto la scarcerazione, ma nei giorni scorsi la Cassazione ha rigettato l'istanza. In base all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale del riesame, quindi, per questa indagine nove tornano o restano dietro le sbarre, mentre uno - un ex carabiniere in congedo - va ai domiciliari. Tra loro c'è Giuseppe Libreri, considerato dagli inquirenti il capo della famiglia mafiosa di Termini Imerese: secondo le indagini, il 69enne nativo di Cerda avrebbe coordinato gli affari illeciti degli affiliati, in particolare nel settore delle estorsioni. Un ruolo, quello di boss della città termale, che avrebbe portato avanti in maniera «occulta», cioè facendo esporre gli altri affiliati per mettere in atto i fatti contestati dagli investigatori. Lo scopo era ovviamente quello di non attirare su di sé l’attenzione delle forze di polizia. L'operazione dei carabinieri ha inferto anche un duro colpo alla famiglia mafiosa di Caccamo, portando all'arresto di quattro indagati. Si tratta di Salvatore Sampognaro, che avrebbe avuto un ruolo direttivo all'interno del clan mafioso, secondo le indicazioni fornite dal capo cosca Diego Guzzino, già tratto in arresto nell’operazione del 31 maggio del 2016. Anche Guzzino avrebbe scelto un profilo basso, ruolo «in «ombra», portando Sampognaro ad esporsi. Con quest'ultimo, ieri, sono stati arrestati anche Loreto Di Chiara, Vincenzo Medica e Nicasio Salerno, ritenuti invece i «soldati» della locale famiglia mafiosa alle dirette dipendenze dei capi cosca. In manette è finito anche Riccardo Giuffrè, secondo gli investigatori organico alla famiglia di Cerda e nominato dal capo cosca Stefano Contino, referente mafioso per Caltavuturo. L’operazione, nell’ambito della quale sono già state tratte in arresto complessivamente 38 persone (ma in totale sono un’ottantina i soggetti ai quali è già stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari), ha consentito, tra l’altro, di definire gli organigrammi e gli interessi di Cosa nostra nella parte orientale della provincia di Palermo. Le attività degli investigatori avrebbero documentando, in particolare, la riorganizzazione territoriale dei due storici mandamenti mafiosi di Trabia e San Mauro Castelverde, con l’individuazione dei vertici (capi mandamento e reggenti delle famiglie) e degli assetti delle organizzazioni mafiose. Oltre a definire gli organigrammi, la vasta operazione avrebbe permesso inoltre di accertate le responsabilità dei vari episodi estorsivi venuti a galla nel corso delle indagini: intimidazioni e danneggiamenti ai danni di almeno tre imprenditori che lavorano nel settore dell'edilizia. Nella notte tra martedì e mercoledì di questa settimana, fra l'altro, un incendio ha divorato l'auto e una mini moto di proprietà di un imprenditore termitano che non aveva permesso a cosa nostra di piegarlo, decidendo di denunciare e di collaborare anche attivamente alle indagini nell'ambito dell'inchiesta «Black Cat». Per gli investigatori si sarebbe tratto di una ritorsione. L’ordinanza di custodia cautelare è stata inoltre notificata ieri per «fatti estorsivi aggravati dal metodo mafioso» a Gandolfo Maria Interbartolo e Stefano Contino della famiglia mafiosa di Cerda, e ad Antonio Maria Scola, organico alla famiglia mafiosa di Polizzi Generosa, tutti già in carcere ma indagati. Ai domiciliari, invece, è andato Giuseppe Vitanza, ex carabiniere in congedo, al quale viene contestato il reato di istigazione alla corruzione aggravata dal metodo mafioso.