Negli anni ’70 e ’80 il solo nome faceva impallidire ogni insegnante di Palermo che non fosse di ruolo. Il terrore correva sul filo: si poteva essere costretti ad accettare un incarico a San Mauro Castelverde, il paese più lontano dal capoluogo. La strada di collegamento con la costa era impraticabile, al punto che per molti anni gli abitanti per protesta si astennero dal voto. Fu Niccolò Turrisi Colonna, sindaco di Palermo nel XIX secolo e fratello della poetessa Giuseppina, ad opporsi alla strada che avrebbe potuto collegare San Mauro con Castelbuono perché era proprietario di alcuni terreni nella valle del Pollina. Quella strada non esiste tuttora e avrebbe potuto migliorare la situazione logistica di San Mauro 150 anni fa, sottraendola a quell’isolamento che è stato forse la causa del fenomeno dei briganti maurini, una stirpe particolarmente dannata, cui tra gli altri appartenne alla fine del XIX secolo Melchiorre Candino che con 46 anni di latitanza, durante i quali ebbe sei figli, sarebbe potuto entrare nel Guinness dei Primati. Giuseppe Pace Turrisi, il coraggioso sindaco che si oppose al dominio dei briganti, pagò con la vita: nella straduzza del paese a lui intitolata, accanto al suo nome c’è un disegno digitale del suo volto. Per una rigorosa analisi storica di questo periodo è doveroso citare il libro «La Sicilia dell’800, prigioniera dei briganti maurini» e il recentissimo «Il Cammino dei briganti in Sicilia» di Vincenzo Asero e Giovanni Nicolosi. Durante gli anni 2010-15, in cui è stato sindaco il giornalista Rai Mario Azzolini con Nicolosi come vicesindaco, è stato portato il metano a questa altezza (circa 1000 metri sul livello del mare), sono state valorizzate le Gole di Tiberio, restaurato il Convento dei Cappuccini, e molto altro. Recentemente è stata favorita la creazione di angoli caratteristici in questo «paese degli archi e delle meridiane», di queste ultime ne esistono ben 15. Per realizzarli molti hanno usato materiali di riciclo come cassette della frutta e copertoni dipinti a vivaci colori e decorati con fiori. Il più incantevole è una piazzetta panoramica dove lo scultore Piero Zacco, prematuramente scomparso, e altri artisti maurini hanno realizzato sculture di pesci e di barche a vela ispirate al mare che si vede in lontananza. Quello di cui i maurini vanno orgogliosi sono infatti quei lontanissimi 300 metri di costa che, sfidando la geografia, appartengono al loro comune. Una caratteristica di San Mauro, dove quasi tutti hanno un pezzetto di terra e qualche animale, è la transumanza anche degli abitanti. Il paese ha circa 1500 abitanti e una grande quantità di frazioni in campagna, in cui molti di essi si trasferiscono in inverno. Molti si sono trasferiti permanentemente a Finale di Pollina. Alla periferia del paese c’è pure la chiesetta di Maria di Porto Salvo come si converrebbe ai veri paesi di mare. Nella chiesa dedicata al patrono Abate San Mauro, costruita sopra tre piccole chiese precedenti, dieci ragazzi e ragazze si alternano nel prestare il loro servizio civile, e accompagnano gratuitamente i turisti in giro per il paese tutti i giorni tra le 9 e le 20. Il progetto mira alla valorizzazione del borgo con il contributo degli anziani. Nella chiesa stessa si ammira il fercolo del Santo; è pieno di sabbia per raggiungere il peso di 580 kg e include la reliquia di un osso nel cranio d’argento. La Fera (festa) di San Mauro, originariamente il 15 gennaio, è stata progressivamente spostata a maggio, giugno e infine al primo martedì di luglio, includendo la domenica precedente e quella seguente. Prima della pandemia, lo trasportavano una trentina di devoti, afferrandolo con le cosiddette chiacche (maniglie), la postazione di ciascuna di esse passa di padre in figlio. Il culto di San Mauro è davvero molto sentito, il nome Mauro è molto comune, ma se si ha una figlia c’è sempre la possibilità di chiamarla Maura. Per la stessa ragione a Catania è diffuso un improbabile Agatino, a Terrasini Faro, a Corleone Gianluchina (da Sant’Agata, Santa Fara e San Gianluca rispettivamente). Il fiorello, ottimo dolce tipico di San Mauro, ha una strana somiglianza con i baci panteschi, eccetto che per le dimensioni, che a Pantelleria sono tre o quattro volte più piccole. In ogni caso un’influenza reciproca è ovviamente da escludersi. Come si è detto, San Mauro è stata per tanto tempo un’isola; come avrebbero potuto comunicare due isole lontanissime fra loro e divise da mare e montagne? Si deve quindi supporre che si sia arrivati indipendentemente a un risultato molto simile. Allargando i nostri orizzonti e passando dal cibo alle barche, popoli lontanissimi e non in contatto fra loro usano lo stesso tipo di imbarcazione scavata in un grosso tronco d’albero. Ma le sorprese di San Mauro non finiscono qui. In un momento indefinito del passato, in questo piccolo paese qualcuno (non sapremo mai con esattezza né chi né quando), ha avuto l’idea di cuocere e mangiare le bucce di ficodindia. La storia non ha lasciato alcuna cronaca di questo piccolo avvenimento, che certamente deve essersi verificato negli ultimi cinquecento anni, dal momento che i fichi d’india, che oggi consideriamo parte integrante del paesaggio siciliano, in effetti ne fanno parte solo da quando gli spagnoli li importarono in Europa dal Centro America. Tuttora nel tranquillo paese madonita le bucce di ficodindia, invece di essere gettate via, dopo essere state ammorbidite in acqua e bollite, vengono fritte e presentate in ben tre versioni: in pastella, a cotoletta, o condite in agrodolce. Altrove non si sospetta neanche che si possano mangiare; invece San Mauro, forse perché come si è detto fino a una ventina di anni fa il paese non era raggiungibile con una strada degna di questo nome, ha conservato lo straordinario segreto, e tutti sanno che sono squisite. E le spine? In tutte le preparazioni si dissolvono, provare per credere… Così mi ha riferito tanti anni fa Pola Giallombardo Cassata, dandomi l’idea di scrivere il mio libro «Guida ai sapori perduti» (Kalòs ed. 2008). Ed ecco qui la ricetta delle cotolette: lavare le bucce di fico d’india e togliere con un coltello il sottile strato ceroso esterno. Sbattere le uova e impanare le bucce intere con uovo e pangrattato. Saltarle in padella con olio d’oliva abbondante, aggiungendo sale e pepe nero a piacere. Servire ben calde.