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Il Preside volante per la sua scuola seppe dire di no alla Ferrari e alla Porsche

Era sempre disponibile. La gente gli chiedeva di tutto, soprattutto di presenziare alle tante rievocazioni della Targa, e lui non diceva mai di no. E rispondeva alle richieste che gli arrivavano da tutto il mondo, inviando fotografie con il suo autografo

Ninni Vaccarella mostra un premio ricevuto

La coppola in testa ma con disegni a scacchi in stile british. Le basette folte, il mento fiero. Gli occhi un po’ acquosi improvvisamente si accendono penetranti, come chi misura in un attimo l’interlocutore esattamente come l’ampiezza di una curva. Ecco Nino Vaccarella, emblema della sicilianità e atteggiamento distaccato da gentleman del Nord, come quelli dipinti da Hogarth nel Settecento.

Si definiva un sopravvissuto. Non solo perché ultimo testimone dell’automobilismo romantico. Sopravvissuto alla strage della sua generazione di piloti. «Ai miei tempi - diceva sempre - non c’era la sicurezza che può offrire oggi la Formula 1, soprattutto temevamo che l’auto potesse prendere fuoco». Tanti dei suoi compagni e amici erano morti uno dietro l’altro: Lorenzo Bandini nel rogo di Montecarlo, Ludovico Scarfiotti in una gara in salita in Germania, Ignazio Giunti nello scontro con la Matra di Beltoise, Jo Bonnier a Le Mans... Considerava però la Targa Florio meno pericolosa delle altre gare per la velocità contenuta. Il pericolo, sosteneva, era soprattutto nelle prove a circuito aperto al traffico. Qualcosa che toccherà in modo drammatico la sua vita e la sua famiglia, con l’incidente all’unico figlio Giovanni durante le prove della Targa 1993: rimane in parte paralizzato.

Il rapporto di Vaccarella con l’automobilismo era particolare. Aveva vissuto l’epoca in cui a Monaco potevi finire con l’auto in mare e la sera vincere al casinò. Oppure gareggiare fianco a fianco con Steve McQueen, ricevere i saluti di Gianni Agnelli e Alain Delon, far gara alle Bahamas a casa di Stirling Moss. Il massimo lo raggiunse quando vinse la 24 ore di Le Mans nel 1964. Fece in tempo a posare per un servizio con le modelle di Dior per poi correre in aeroporto, senza partecipare ai festeggiamenti serali, per scappare a Palermo ed essere presente il lunedì agli esami all’Istituto Oriani, la scuola privata di famiglia di via Autonomia Siciliana.

Da tutto ciò il mito del preside volante. Che gli costò caro. Perché per rimanere in Sicilia e a scuola aveva respinto occasioni importanti per la sua carriera, come quella di trasferirsi a Maranello. Era sfuggito anche alle avance della Porsche condotte dal barone Hunske Van Hanstein che lo stimava e tempestava di telefonate casa Vaccarella per ingaggiarlo.

Distaccato, eppure sempre disponibile. La gente gli chiedeva di tutto, soprattutto di presenziare alle tante rievocazioni della Targa, e lui non diceva mai di no. Così come rispondeva alle richieste che gli arrivavano da tutto il mondo, inviando fotografie con il suo autografo. «Qualcuno - commentava - magari se le rivende, ma non importa». Al festival of speed a Goodwood, in Inghilterra, la grande passerella dell’automobilismo d’epoca, era una star. A Prato nel 2004 gli fecero trovare la Cooper-Maserati di F1 con la quale aveva corso a Vallelunga nel 1961. Felice come se avesse ritrovato un giocattolo dell’infanzia. Lo intervistavano da tutto il mondo. Talvolta facendo un po’ troppo colore. Come la rivista MotorSport che titolò l’articolo «Lap of the Godfathers», ovvero il giro dei padrini. E che oggi nel suo sito definisce Vaccarella «Targa Florio hero». Nino teneva a precisare che non era solo un pilota da strade di casa, ma era capace di vincere al Nürburgring come a Le Mans. Per tutti era il professore Vaccarella, professore di scuola e professore di automobilismo. E anche commentatore attento con articoli sulle pagine del Giornale di Sicilia. Iniziò ai tempi in cui ancora gareggiava e riprese poi con una rubrica di F1, di cui riconosceva la popolarità ma che non gli piaceva: considerava che il pilota avesse abdicato al suo ruolo di protagonista sostituito da elettronica e computer.

Negli ultimi anni la preoccupazione per il figlio, la morte della moglie, il fallimento del tentativo di creare un museo con i suoi tanti trofei e le mirabilia che tirava fuori dagli scaffali dell’attico di via Crispi lo hanno segnato, ma lo sosteneva la grande passione per quello che aveva realizzato. Adesso lo immaginiamo correre su un rettilineo infinito, il casco bombato, gli occhialoni, un bolide rosso e attorno i prati fioriti di acetoselle delle strade a maggio della Targa. E piovono petali di rosa come accadde davvero, come in un sogno, una volta a Collesano.

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