Palermo

Mercoledì 17 Settembre 2025

Grigoli e Spatuzza confessano, processi conclusi con gli ergastoli

La giustizia penale ha da tempo concluso il suo percorso. Per l’omicidio di don Giuseppe Puglisi sono stati istruiti a Palermo due processi già arrivati alla sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss di Brancaccio, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Come esecutori il carcere a vita è stato inflitto a Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone. L’uomo che ha sparato a don Puglisi, Salvatore Grigoli, ha deciso di collaborare con la giustizia subito dopo l’arresto. Con gli sconti di pena, ha avuto una condanna a 18 anni. Nel luglio del 2004 ha ottenuto gli arresti domiciliari e poi la possibilità di ricominciare una vita diversa. Nel 2008 anche Gaspare Spatuzza ha iniziato a collaborare con i magistrati, ottenendo i benefici di legge. Spatuzza è pure l’uomo che ha consentito di riaprire le indagini sulla strage di via D’Amelio e scoperchiare il terribile intreccio di depistaggi. Il movente e l’atmosfera di quei mesi a Brancaccio primi del delitto Puglisi sono stati così descritti da un altro pentito, Giovanni Drago, con il suo linguaggio crudo che riassume lo stupore e la rabbia dei boss: «Il prete era una spina nel fianco. Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada. Faceva manifestazioni, diceva che si doveva distruggere la mafia. Insomma ogni giorno martellava, martellava e rompeva le scatole. Questo era sufficiente, anzi sufficientissimo per farne un obiettivo da togliere di mezzo». Altro pentito, Totò Cancemi: «Tutti i clan della zona orientale della città rimproveravano i Graviano per le attività di padre Pino perché i picciotti seguono questo prete e non vengono a sentire i discorsi di Cosa Nostra». La decisione di ucciderlo fu avallata dai massimi vertici di Cosa Nostra dell'epoca. Altri collaboratori di giustizia riferiscono che Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, approvò la scelta dei fratelli Graviano di eliminare il sacerdote perchè "predicava tutta 'arnata (la giornata)" e "si purtava i picciotti cu iddu" (portava con sé i ragazzini del quartiere). Nelle motivazioni della sentenza della seconda sezione della Corte d'Assise (presidente Vincenzo Oliveri, giudice a latere estensore Mirella Agliastro) si riassume così il movente del delitto (il documento è depositato in data 19 giugno 1998): «Emerge la figura di un prete che infaticabilmente operava sul territorio, fuori dall'ombra del campanile... L'opera di don Puglisi aveva finito per rappresentare una insidia e una spina nel fianco del gruppo criminale emergente che dominava il territorio, perché costituiva un elemento di sovversione nel contesto dell'ordine mafioso, conservatore, opprimente che era stato imposto nella zona, contro cui il prete mostrava di essere uno dei piu' tenaci e indomiti oppositori».

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