Il fondamentale ruolo del giornalista in una società in cui informazione e comunicazione faticano a distinguersi e le sempre più stringenti leggi sulla privacy finiscono talvolta per limitare il lavoro del cronista che le rispetta, al contrario di chi spesso, attraverso i social, fa ciò che vuole. Ma anche un dietro le quinte sul blitz Grande Inverno (che ha portato all’arresto di 181 tra boss, uomini d’onore e sodali delle famiglie di Cosa nostra), lo stato dell’arte sulle estorsioni e i rapporti tra imprenditoria e racket, la continua rigenerazione dei clan e la separazione delle carriere di magistrati e giudici: nell’aula magna del dipartimento Cultura e società dell’università, gli studenti del laboratorio di Sociologia qualitativa, tenuto dalla professoressa Alessandra Dino, e del corso Metodo, tecnica ed esercizio dell’intervista giornalistica, tenuto dalla giornalista e responsabile delle news di Tgs Marina Turco, hanno assistito ad una vera e propria lezione di giornalismo e diritto. Con le domande al procuratore capo Maurizio de Lucia, al direttore del Giornale di Sicilia Marco Romano e al presidente dell’Ordine dei giornalisti Roberto Gueli, moderati da Marina Turco, e dal professore Dario Mangano, si sono sviluppate le tematiche: ragazzi hanno voluto approfondire il lavoro che ha portato agli arresti eccellenti di padrini e luogotenenti della mafia, «che è davvero tradizione e innovazione - spiega de Lucia - tra gli oltre 180 arresti circa la metà aveva meno di 40 anni. Questa indagine non è piovuta dal cielo: ha una struttura di metodo di investigazione che è una delle cose che ci ha donato Giovanni Falcone. Sono diverse indagini che abbiamo deciso di portare a misura cautelare tutte insieme per evitare che ci fosse un solo giudice ad occuparsi di 181 persone. Da qui abbiamo seminato per nuove investigazioni. Cosa nostra tende sempre a riorganizzarsi e le carceri sono un luogo di estremo disagio per i deboli, ma sono un luogo in cui i forti restano forti. Avere messo in carcere una serie di soggetti non garantisce la loro neutralizzazione». Il blitz, però, ha suscitato attenzione a livello locale: «Nessun giornale nazionale - ha sottolineato il direttore del Giornale di Sicilia Marco Romano - ha aperto il proprio quotidiano titolando su questa notizia. L’ultimo arresto ad aver destato l’attenzione è stato quello di Messina Denaro. Questo è ciò che mi preoccupa del prosieguo della lotta alla mafia, la normalizzazione del fenomeno che non sembra più fare notizia». Il direttore ha sottolineato la difficoltà dei cronisti, la grande distanza che c’è tra forze dell’ordine, le Procure e i giornalisti, «costretti a compiere salti mortali per cercare notizie e verificarle», come spiega Marina Turco: «Bisogna sempre confrontare le fonti e accreditarsi nelle zone giornalistiche. Come diceva Zagoli, “aspettate a pubblicare, un click in meno ma la notizia è ufficiale”». Poi la separazione delle carriere. Per il direttore Romano è necessaria una maggiore «maturità nell’affrontare la questione, sia da parte della politica che della magistratura targata Anm». Per il procuratore capo «è in gioco l’assetto costituzionale, bisogna far comprendere cosa si rischia». «C’è bisogno di maggiore chiarezza - conclude Gueli - in gioco la nostra professione».