Un confronto tra il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia e gli studenti del Gonzaga Campus. Partendo dal libro «La cattura. I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia», scritto da De Lucia e dal giornalista Salvo Palazzolo, sono stati affrontati i temi della mafia e dell'antimafia sociale e culturale.
«Occorre parlare ancora una volta ai giovani e con i giovani - ha detto nella sua introduzione padre Vitangelo Denora, gesuita e direttore generale del Gonzaga Campus – perché crediamo che il cambiamento della società passi anche dalla passione e dall'impegno portato avanti nella scuola. Ci sono tanti uomini e donne che, oggi, a vario livello, con sobrietà e pudore, portano avanti la lotta per la democrazia e la libertà».
«Questo libro nasce dalla necessità di raccontare tutti i fatti che sono successi – sottolinea il procuratore De Lucia -. Vuole essere una narrazione altra rispetto a tutto quello che ha circolato, spesso in maniera superficiale, sui social. Pertanto, abbiamo voluto spiegare, in maniera laica e senza pregiudizi, chi era Messina Denaro con tutti i suoi 13 ergastoli».
«Ricordo che negli anni '80 le scuole non chiamavano i giudici - dice il giornalista Salvo Palazzolo -. Solo il movimento degli studenti, all'epoca, era l'asse portante dell'antimafia. Ancora oggi, gli studenti ci ricordano che la cattura di Messina Denaro non rappresenta la fine della mafia ma occorre continuare a lottare. Il libro è un racconto con le storie di chi si sforza, ogni giorno, di avere una città più felice e più bella».
All'incontro ha partecipato anche Piergiorgio Morosini, presidente del tribunale di Palermo. «Il destino della comunità in cui viviamo dipende moltissimo da quello che siamo e siete disposti a fare – afferma il presidente Morosini - . Per sconfiggere la mafia non bastano le forze dell'ordine e la magistratura perchè queste intervengono quando il danno è stato già fatto. La mafia non è solo un problema di sicurezza fisica ma è un problema di sicurezza esistenziale; sappiamo bene come questa, purtroppo attecchisca spesso in contesti di povertà e di ignoranza. La lunga latitanza dei capimafia è collegata ai diversi vantaggi di cui questi hanno goduto per la forte fragilità sociale di certi territori. Negli anni la mafia è stata quella che dava il lavoro costruendo così il suo esercito di complici e fiancheggiatori».
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