«In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna». La risposta di Gesù ai discepoli Filippo e Andrea, tratta dal Vangelo secondo Giovanni, ha aperto la celebrazione eucaristica nella memoria del Beato Giuseppe Puglisi che si è tenuta ieri mattina a Palermo, all’istituto Don Bosco di via Libertà, a conclusione delle due giornate dell’Assemblea pastorale diocesana. L’omelia, pronunciata dall’arcivescovo Corrado Lorefice, ha ripercorso con viva commozione le tappe fondamentali della vita e delle opere del martire palermitano, di cui ricorre il trentesimo anniversario dalla tragica scomparsa, l’omicidio di cui rimase vittima il 15 settembre 1993 per mano mafiosa, sulla soglia di casa.
Un sorriso prima della fine, la consapevolezza di avere agito in nome del Bene per la parrocchia di San Gaetano e Brancaccio, la speranza di avere compiuto la propria missione lasciando un segno indelebile nelle coscienze e nei cuori di una comunità - e di una città intera - in cerca di riscatto morale e reciproca solidarietà. Nel corso della celebrazione sono stati citati alcuni passi da un testo autobiografico trovato da don Francesco Michele Stabile e consegnato da monsignor Giuseppe Renna alla Curia, in cui un autore sconosciuto dà voce a don Pino Puglisi: l’attenzione posta ai bisogni dell’uomo, così da metterlo in condizione di abbracciare liberamente la fede in Dio, l’ideale nell’imitazione di nostro Signore, la promozione di una nuova cultura della legalità illuminata dalla fede, questi i tre punti cardinali che hanno tracciato e definito il cammino del Beato Puglisi a fianco di uomini e donne, soprattutto dei più giovani (bambini e adolescenti) e in particolare dei poveri, vittime dell’emarginazione che esclude dalla partecipazione alla piena vita comunitaria.
«Abbiamo in eredità il segno del chicco di grano caduto in terra - ha sottolineato Lorefice - come simbolo di compimento fedele della volontà del Padre, una sottomissione da interpretare non come resa a un destino implacabile, ma adesione ai sentimenti di amore per il mondo». Un invito alla condivisione del territorio tra culture e fedi differenti, all’umiltà del dialogo, al rinvigorimento dello spirito comunitario che possano scaturire dall’ascolto della vita quotidiana nell’arco delle ventiquattro ore. Stare un poco in silenzio, come don Pino era solito fare alla sera prima di rientrare a casa, soffermandosi per strada quando cessano i fragori della giornata che volge al termine e sentire nell’aria le sofferenze e le ingiustizie patite dagli uomini e dai piccoli.
Un ascolto che sottragga all’istinto della violenza, alla brama della potenza e al malsano desiderio di dominio sulle anime innocenti, che porti a sintonizzarsi nuovamente con le parole di Dio nell’energia del suo amore e della relazione intratrinitaria.
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