Il grido antidroga dell'arcivescovo, parla il padre del ragazzo morto: «Non lasciate i genitori da soli»
Alla fine, però, rimane un padre solo. E si chiama Francesco Zavatteri. Dopo gli anatemi, le dichiarazioni di sostegno, le pacche sulle spalle e gli inviti ad andare avanti, c'è un padre che rimane solo: un figlio morto, il dolore, i rimpianti, la nostalgia per una creatura intelligente e fragile volata via come il fumo che l’ha uccisa. Si sente il vuoto attorno, questo padre: vorrebbe realizzare ciò che forse potrebbe alleviare lo strazio di essere sopravvissuto a un figlio senza poterlo salvare. Vuole creare a Palermo un centro specializzato di prima accoglienza per i ragazzi col problema della tossicodipendenza. Tecnicamente si chiama drop in, che letteralmente significa piccola sosta, un tipo di struttura di prima linea ideata per accogliere persone in difficoltà. Un luogo in cui professionisti e volontari, che sanno quello che fanno, diventino punto di riferimento per torme di adolescenti e giovani sperduti per le strade senza sapere a chi chiedere aiuto, dove potere riposare, mangiare, semplicemente parlare con qualcuno.ù «Servono soldi - racconta Zavatteri - e a parole sono disponibili tutti. È chiaro che sono le istituzioni a doversi muovere per primi. Ho parlato, chiesto appuntamenti, avviato iniziative, invitato gente, pregato per qualche interrogazione parlamentare. Prima è un coro di sì, poi, pian piano, gli impegni si annacquano, le chiamate si diradano, i telefoni squillano a vuoto, alla fine capisci che sei diventato un peso e dai fastidio». Ma lui non si ferma, non intende farlo. È difficile essere il genitore di un tossicodipendente morto a 19 anni. Forse l'unico modo per andare avanti è lottare, tentare di non darla vinta a chi quella droga che per dieci minuti ti fa sentire un semidio la produce, la spaccia, la diffonde. Zavatteri, farmacista, papà di Giulio, assassinato il 15 settembre scorso dall'ennesima e fatale dose di crack, ha fondato un'associazione intitolata al figlio. Tenta di smuovere le acque. «Non si ha l'idea di quanti ragazzi siano coinvolti in queste storie - spiega - .Non c’è la percezione esatta della diffusione del fenomeno. Tutti i genitori devono chiamarsi a raccolta per fare qualcosa, evitare che altri giovani abbiano per futuro una brutta fine». Ieri mattina, a Festino finito, ha appreso delle parole dell’arcivescovo, che ha ricordato Giulio, contro l’uso delle droghe che alimentano la mafia. «Mi ha fatto piacere - spiega papà Zavatteri-. Lorefice si è preso a cuore la nostra vicenda e fa quello che può. Ma una cosa sono le parola e una cosa sono i fatti». Racconta storie drammatiche, Francesco che non s’arrende. Di ragazzine che già a 12-13 anni si prostituiscono per la droga. Crack, soprattutto. Un derivato della cocaina che prende forma come una zolletta di zucchero. «Una droga terribile - spiega il papà di Giulio - perché facilmente reperibile, costa pochissimo, una dose oscilla tra i 5 ai 15 euro, e facile da assumere. Una sostanza che crea immediatamente dipendenza: offre quei dieci minuti di euforia e poi si entra in un forte stato depressivo, al che arriva il desiderio di fumarne sempre di più». Così muore la meglio gioventù. Nell’indifferenza, però. «Qua, in città - spiega Zavatteri - siamo all’anno zero per le strutture. Qualcuno mi dice che è una battaglia persa, perché servono molti soldi e con la crisi degli enti locali nessuno è disposto a scucirli». Si stima che per mettere in piedi un drop in servano 400 mila euro all’anno. Per prima cosa servirebbe un protocollo d’intesa fra Comune e Regione. Francesco ha parlato con parlamentari, senatori, amministratori locali. «Sì sì, vediamo, certo, faremo, diremo»...ma alla fine? Alla fine c’è un padre che ha perso un figlio, non si rassegna e cerca aiuto perché il suo dramma non si ripeta. Dopo tutto, un atto di altruismo a pensarci bene. Il suo appello interroga le coscienze di tutti. Aiutarlo diventa un obbligo. Arrendersi, non si può.