Rossana, classe 1925, girava con un cappotto di panno Casentino e presto i tedeschi si misero a cercare «la ragazza con il cappotto rosso», ormai vista in troppi luoghi e con troppi fidanzati. Rossana faceva «la coppietta», fingeva di passeggiare con uno spasimante e andava avanti e indietro dal fronte, sfruttando la sua aria da ragazzina, passava sotto il naso delle truppe tedesche senza destare sospetti per mantenere i contatti tra Alleati e partigiani. Rossana era una staffetta partigiana a Roma, tessera dell’Anpi numero 4322. Messaggi ed esplosivo da portare da una parte all’altra della città occupata dai nazisti. Incarico pericolosissimo. Ogni tanto qualcuno dei suoi amici veniva catturato, torturato, fucilato. Quando Roma venne finalmente liberata, insieme agli americani arrivarono gli inglesi e Rossana finì tra le «Fany» della No 1 Special Force, il «First Aid Nursing Yeomanry» delle forze speciali, antenate del servizio segreto MI6. Grazie all’inglese imparato dalla bambinaia, Rossana era un elemento prezioso per tenere i contatti con la Resistenza italiana. Toccava a lei tradurre, trasmettere, annunciare dove sarebbero stati lanciati cibo, vestiti, munizioni, armi. E, soprattutto, dare assistenza ai volontari che si sarebbero lanciati con il paracadute dietro le linee nemiche. Rossana Banti è scomparsa la notte di lunedì a Palermo, a 96 anni, tra le viuzze del Capo, a casa della figlia Raffaella Mattioli, ex ballerina del Teatro Massimo e compagna di John Pepper, il fotografo americano nato a Roma, che da anni vive tra Palermo e Todi. Ci salutano tutti in silenzio e ci lasciano così, senza troppe celebrazioni, nonostante siano stati i protagonisti della grande stagione delle scelte e ci abbiano dato un futuro. Rossana non amava trasformarsi in narratrice di memorie crude e raccontava quella vita irruenta, coraggiosa, giovane, appassionata e convinta, motivata da un ideale di libertà, come se fosse normale. Eppure per tutta la sua attività, con 70 anni di ritardo, nel 2015, l’allora ambasciatore britannico in Italia, Christopher Prentice, le ha appuntato la Italy Star, la Victory Medal e la War Medal 1939-1945, onorificenze riconosciute dal governo di Sua Maestà a quella ragazza non ancora maggiorenne che aveva contribuito a salvare l’Italia e l’Europa dal nazifascismo. Le erano state assegnate subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ma nessuno si era ricordato di consegnargliele. Al momento della cerimonia, in perfetto «understatement» britannico, aveva commentato: «E che abbiamo fatto? Eravamo ragazzi, avevamo tutti vent’anni, pensavamo fosse la cosa giusta, l’unica che dovevamo fare». Durante gli anni da partigiana conobbe anche l’amore, quello di un italiano, agente operativo del Soe, lo Special Operations Executive, un’organizzazione britannica attiva durante la seconda guerra mondiale. Era Giuliano Mattioli, figlio di Raffaele, il banchiere «illuminato» della Banca Commerciale Italiana. Per gli inglesi è Julian Matthew, talmente bravo da diventare capitano dell’esercito di sua Maestà. Si somigliano per attivismo: lei staffetta mentre lui si dedica ai soccorsi dei piloti precipitati, alle incursioni contro nazisti e fascisti, su e giù per le Alpi, a piedi e con gli sci, lanciandosi con il paracadute, per dar manforte ai partigiani. Poi il matrimonio, i due figli, Luca e Raffaella. Rossana inizia a lavorare in Rai negli anni ‘50, collabora anche con la Bbc. E ama ripetere: «Giustizia, solidarietà, libertà sono i miei valori, intramontabili. Ma nessuno li insegna più ai bambini». Altra delusione, dopo aver visto il ruolo delle donne, anche quelle della Liberazione, tornato in fretta in secondo piano: su 556 eletti alla Costituente, sono solo 21 le donne, le famose madri della Costituzione. Un numero spaventosamente minuscolo, ma quelle donne, quasi tutte protagoniste della Resistenza, quel 2 giugno del 1946 si presero la Storia. Come Rossana.